Meglio stare zitti se si vuole dire qualcosa

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“Non parla perché non vuole parlare. Zi’ Nicola dice che parlare è inutile”: «Se l’umanità è surda, io mi faccio muto». Eduardo De Filippo Le voci di dentro “Il personaggio più significativo delle Voci “Non parla perché non vuole parlare. Zi’ Nicola dice che parlare è inutile”: «Se l’umanità è surda, io mi faccio muto». Eduardo De Filippo Le voci di dentro “Il personaggio più significativo delle Voci di dentro, la vera, indimenticabile creazione di questa commedia del ’48, è zio Nicola, muto non per natura ma per scelta, che si esprime solo servendosi dei fuochi d’artificio: «Dice che parlare è inutile, – spiega, nella pièce, il nipote Alberto. – Che siccome l’umanità è sorda, lui può essere muto. Allora (…) sfoga i sentimenti dell’animo suo con le “granate”, le “botte” e le girandole». Questa commedia di Edoardo è attualissima e tra l’altro in programmazione a Napoli recitata dai fratelli Servillo. Attualissima anche rispetto al fenomeno del controllo sociale, che negli ultimi anni ha spostato progressivamente la sua attenzione dalla dimensione collettiva a quella individuale, mettendo in azione una serie numerosissima di processi, tecniche e strumenti hard e soft, con degli scopi non sempre propriamente di valore. Il fenomeno che sembra affermarsi delle registrazioni nascoste di conversazioni private, perfino nella dimensione domestica, viola ogni forma di buon vivere. L’intrusione scostumata e disinvolta nelle vite degli altri, per l’ignobile ragione di un possibile ricatto, è la forma più volgare di attacco alla riservatezza, all’abitudine di esprimersi con libertà quando ci si sente al sicuro tra le mura di casa o nel proprio ufficio. Le cronache di questi giorni ci consegnano esempi preoccupanti di una pratica che, se non dovesse venire presto e con forza condannata, ci condurrebbe a una nuova e più formidabile forma di barbarie. Vivere insieme è difficile e lo è soprattutto quando tutto è architettato, a volte anche solo per stupidità, per creare la paura e la sfiducia tra le persone. Essere spiati, guardati con sospetto, doversi difendere da forme pregiudiziali d’ostilità è doloroso e difficile, ma è questo che sta accadendo sempre più, in questo mondo stupido che cerca come dividere anziché come far stare insieme le persone favorendo la fiducia e anche l’amicizia. Siamo tutti spiati: Mail personali e aziendali, chat, sistemi di messaggistica istantanea, telefonate su Skype, condivisioni di file e fotografie, Dropbox e così via, sono costantemente monitorati e si sta avanzando verso una dittatura orwelliana della sorveglianza. La tecnologia ci consente di controllare ed essere controllati e dietro il mito della sicurezza si sviluppano dinamiche tortuose e spesso violente che cambiano profondamente i nostri comportamenti sociali e anche professionali. In questo periodo storico sotto l’offensiva violenta di forme barbariche che non accontentano di guardarci nelle tasche, di spiare le parole, di interpretare le espressioni del volto, forse, bisognerebbe imparare il silenzio come forma raffinata di comunicazione. Stare zitti come il personaggio di De Filippo. La facilità con cui la tecnologia ha reso possibile la violazione della dimensione privata crea una situazione ambivalente: da un lato fa si che non ce ne preoccupiamo, tanto è diventata prassi comune, ma dall’altro è molto minacciante quando questa è inserita e usata come strumento in una cultura CONTRO che cerca motivi per danneggiare, ricattare, indebolire, vietare, proibire, sottomettere. Una sorveglianza automatizzata, molto più sofisticata e globale rispetto a quella cui eravamo abituati. Questo modifica le relazioni tra le persone e anche, come affermavo prima le parti distintive di alcuni mestieri. Ad esempio quello dei giornalisti che non possono più garantire alle fonti totale riservatezza se usano i mezzi informatici. Oppure per tutte le professioni che sono costrette a maneggiare dati sensibili, come gli avvocati, i notai, i medici e chi lavora in banca. Le garanzie di riservatezza che prima erano esplicitate e anche implicite ora non lo sono più. Occorre diventare esperti della non comunicazione perché le nostre comunicazioni possono essere anche fraintese: se parlo o scrivo a una persona che non ho idea che possa essere un malvivente e poi invece si scopre che lo è posso avere problemi. Questo non vuol dire che io divento un criminale, però vediamo con quanta velocità si costruiscano i colpevoli e questa informazione può essere usata contro di me. Siamo indeboliti da un’accessibilità completa, ogni interstizio è penetrabile, ci sono infinite possibilità di controllo, spesso anche involontario. La “cultura dello schermo”, con i vari social o qualsiasi programma, che mette davanti ai nostri occhi numerose vite tanto di conoscenti quanto di perfetti sconosciuti che ci informano nostro malgrado dei fatti loro; ci scorrono davanti in continuazione notizie, pettegolezzi, biografie, foto, ecc, diventa impossibile non vedere, non cogliere schegge. Quelle foto che non ci interessano, quella conversazione che non volevamo sentire, e così via. Io anche se non voglio contribuisco a riempire questo mondo pubblico di date, luoghi, eventi ogni volta che scrivo, fotografo. Anch’io sono visto e valutato da chiunque. L’unica maniera per uscire dal regime voyeurista è la completa disconnessione, l’uscita dal mondo digitale. Una via che io ho percorso in parte, ma che non mi salva dall’essere comunque controllato ogni volta che entro in una qualsiasi situazione burotecnocratica. Non abbiamo niente da nascondere, ma proprio chi non ha niente da nascondere è più debole, perché i professionisti dell’occultamento non fanno e non si fanno trovare e inoltre non sono cercati. Certo che anche questo è un grande arretramento della nostra civiltà:imbarbarimento e sviluppo tecnologico procedono con lo stesso ritmo.