Mattarella e Draghi dicono la loro in trasferta ma non basta a modificare il corso delle vicende attuali

in foto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Ieri le più alte cariche dello stato sono state entrambe impegnate fuori sede per prendere parte a riunioni e per avere incontri bilaterali sul da farsi per fronteggiare uniti le situazioni che al momento angosciano il pianeta, in particolare la sua parte occidentale.
Il Presidente Mattarella si è recato a La Valletta per l’incontro annuale con altri capi di stato, mentre il Premier Draghi è volato a Praga per la prima riunione del costituendo organismo allargato dei 27  paesi della EU a 44 più con la partecipazione di altri stati con interessi analoghi, il Comitato Politico Europeo. Entrambi hanno espresso il loro punto di vista sulle iniziative da adottare per contrastare i vari eventi negativi che stanno affligendo la maggior parte dei paesi, considerati singolarmente e come componenti di realtà socioeconomiche sovranazionali. Entrambi le occasioni vanno considerate come il trailer del film l’Italia che (ancora) va, l’Italia che (forse) andrà, del quale sono in corso i provini. Draghi sta continuando a lavorare alacremente per quanto concerne il suo ruolo, come se non fosse prossimo a lasciare il suo posto di lavoro.
Sarà il suo souvenir nel momento in cui lascerà la barra di direzione. Mentre a Praga incassa il riconoscimento da parte della Signora Von der Leyen per quanto riguarda il rispetto dei tempi concordati con la commissione economica della EU per l’esecuzione del PNRR, a Roma, gratuitamente, deve subire le accuse, peraltro infondate e diffuse con scarsa o nulla buona fede, di chi presume di succedergli con pari merito, al governo del Paese. Tutto ciò nonostante il Professor Draghi abbia offerto per tempo la propria disponibilità a collaborare con chi, a breve, verrà dopo di lui, per far si che la transizione dell’ Italia sulla nuova sponda avvenga con il minor numero di problemi che inevitabilmente questo passaggio porta con se per la sua stessa natura. Evitando di scadere in lamentazioni generiche e sterili del tipo espresso da coloro che passano il tempo nei giardini pubblici a dare il mangime ai piccioni, si può tentare di ragionare così. Chi volesse affrontare seriamente il problema di quale potrà essere il modo in cui si svolgerà la legislatura del dopo Draghi, Incontrerebbe un ostacolo pregiudiziale per la natura  stessa  dell’ organo in esame.
L’esecutivo che sta per lasciare la tavola non si richiamava, almeno per quanto riguardava i suoi vertici, a nessun partito in particolare. La coalizione che freme nell’ attesa della successione è fortemente politicizzata. La risposta immediata che scaturisce immediatamente è che la volontà popolare è sovrana e il risultato della consultazione deve essere accettato da tutti per ipotesi e civilmente. Nel contempo deve essere preso in considerazione anche il risultato della elezione precedente, che aveva espresso un orientamento totalmente diverso. Si potrebbe dare un senso a questo andazzo tirando in ballo lo stato d’animo degli italiani, talmente prostrato che li induce a giocare ogni carta che sembra essere in quel momento la più giusta, sull’onda dell’ emotività. Si arriva così, andando avanti con tale tipo di argomentazioni, a trarre conclusioni che potranno risultare ai più malaugurato. Quegli economisti aziendali americani del secolo scorso che cominciarono a analizzare scientificamente la reale separazione tra le company, la proprietà del capitale che aveva consentito la loro creazione e il management che le faceva funzionare, trassero conclusione valide ancora oggi. Arrivarono gli stessi, già sul finire degli anni ’50, a asserire che, soprattutto per le seconde due figure, il fatto che fossero riconducibili a un unico soggetto era un caso particolare e non la regola generale. Proseguendo, affermarono che nelle public company il manager non poteva essere che una figura terza alla proprietà. Conclusione: un’azienda legata a filo doppio con la sua dirigenza non poteva essere quella che veniva definita già allora, almeno nelle società più avanzate, una società di capitali. Quelle stesse che sarebbero state in condizioni di rimanete sul mercato non solo in funzione della bravura del management ma soprattutto per la loro validità economica. Al momento il parallelo con la situazione italiana nei confronti della EU e del resto del mondo, porta a avvicinarsi all’ eccezione e non alla regola di quel teorema che vale per le aziende. L’Italia è risalita di diverse posizioni nella considerazione internazionale da quando si è insediato il governo uscente. Che succederà tra poco, quando si sarà insediato quello in via di formazione, destinato a sostituirò, al momento non fa stare tranquilla buona parte di coloro che hanno in qualche modo rapporti con il Bel Paese. Non è facile pronunciarsi a ragion veduta perché prima il nuovo esecutivo deve cominciare a funzionare. Una cosa però il Paese dovrà tenere nella dovuta considerazione, cioè la massima: per conquistarsi la fiducia è necessario un lavoro lungo e costante, per perderla basta un passo falso. Questo è il momento in cui il pericolo che ciò avvenga è nella parte alta del calcolo delle probabilità.