Mario Musella, l’americano nato a Napoli che assieme a James Senese portò al successo gli Showmen

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in foto gli Showmen

di Rosina Musella

Il 1 aprile di 76 anni fa nasceva a Napoli il cantante e musicista Mario Musella, voce e bassista del gruppo napoletano The Showmen, costituito da Giuseppe Botta (chitarra), Elio D’Anna (sax e flauto), Franco Del Prete (batterista), Luciano Maglioccola (tastiere) e James Senese (sax, flauto, percussioni e voce). Il gruppo, che mescolava sapori RnB ad eredità sonore partenopee, divenne noto per inediti come “Mi sei entrata nel cuore” e “Che m’ ‘e fatto” e riarrangiamenti di brani già noti al pubblico come “Un’ora sola ti vorrei”; nel 1969 partecipò al Festival di Sanremo con il brano “Tu sei bella come sei” cantato con Mal.
Il musicista, nato al termine della seconda guerra mondiale, era un cosiddetto “figlio della guerra”, nato da madre napoletana e padre americano giunto in Italia come militare e che Musella non conobbe mai. La sua voce inconfondibile si spense nel 1979 e, in sua memoria, gli sono stati dedicati: una strada a Marano di Napoli, città che lo accolse gli ultimi anni di vita, la Villa comunale di Piscinola, quartiere dove mosse i suoi primi passi, e il centro culturale MaMu, con sede a Scampia.
I nostri microfoni hanno raggiunto Patrizia Musella, sua sorella, per farci raccontare degli aneddoti su Mario e celebrarlo con questo articolo.

Mario privato era simile al Mario artista?

Io l’ho vissuto molto più come fratello, come artista l’ho scoperto dopo la sua morte. Nella vita privata era una persona molto timida, riservata, ma sempre di compagnia. Sul palco però diventava un’altra persona, era nel suo, buttava fuori tutta l’energia e l’amore che aveva per la musica diventando un animale da palcoscenico.

Come si approcciò alla musica?
Mario iniziò a suonare per bisogno, infatti prima di cantare con gli Showmen non aveva mai preso lezioni di musica; cantava e suonava di pancia. Mia mamma mi raccontava che da piccolo, piuttosto che giocare con i suoi amici, rubava i coperchi delle pentole per suonare, tamburellava qualunque cosa. Infatti il suo primo strumento fu la batteria, seguita dal basso. Era figlio di un americano e forse anche questa cosa l’ha influenzato verso la scoperta del RnB.
Io credo che la musica sia qualcosa che nasca con te. A me piace ascoltare musica, come a tanti altri, ma ci sono alcune persone che nascono con essa, senza musica non stanno bene, non si sentono a posto. Mario era così, quindi penso che abbia iniziato per necessità.

Non conobbe mai suo padre, come viveva questa condizione?
Viveva male il fatto di non aver mai conosciuto il padre, un nativo americano della tribù Lakota, e quando scoprì le sue origini si appassionò alla cultura dei nativi. Inoltre, insieme a James, anche lui figlio di un americano, portarono un certo tipo di musica a Napoli e altrove. Loro lavoravano insieme in una fabbrica di scarpe e la sera, finito il turno, andavano nei locali frequentati dai tantissimi Americani che arrivavano dalle navi che attraccavano al porto. Tutte queste influenze sono poi confluite nei loro lavori.

Secondo lei, perché Mario e gli Showmen sono poco conosciuti dai più giovani?
La loro è stata un’avventura bellissima, molto intensa, ma come gruppo non hanno avuto una lunghissima carriera. Invece Napoli Centrale, gruppo fondato da James e Franco Del Prete, è noto anche tra i giovani perché ha avuto una vita musicale più lunga. Gli Showmen nei primi anni ‘70 si erano già sciolti, quindi non avevano una vasta discografia alle spalle. Mi è capitato, però, di conoscere giovani che li hanno scoperti grazie ai genitori che erano seguaci del gruppo. Quindi, anche se è stata un’avventura breve, hanno inciso molto nella musica e nel pubblico.

Un ricordo che ha di Mario?

Tutto mi ricorda Mario. Non potrei scegliere un solo ricordo, anche se alcuni sono più forti. Ad esempio ripenso a quando tornava dalle tournée e mi portava dei pensierini, che ancora conservo, oppure quando veniva con James a prendermi alle elementari e si formava un capannello di persone attorno a loro, ché erano già famosi. Io non ero consapevole di tutte queste cose, perché l’ho vissuto molto come fratello e come tale ne conservo il ricordo.

Se l’avesse vissuto più come artista, pensa che il vostro rapporto sarebbe stato diverso?

Per come era fatto Mario credo che il nostro rapporto sarebbe stato sempre quello di fratello e sorella. Spesso mi chiedo come sarebbe diventato, cosa penserebbe della musica di oggi.
Tra l’altro ho scoperto solo qualche anno fa che, nell’ultimo periodo, con James e Franco stavano ipotizzando di rimettere su gli Showmen, infatti James voleva fortemente che Mario tornasse a cantare, ma purtroppo non ce n’è stato il tempo perché iniziò a stare male. Mi intristisce pensare che non abbia più potuto fare musica, quando era nato per fare questo, come mi dispiace molto che tutt’ora le persone lancino calunnie su di lui. I morti non possono difendersi e quindi andrebbero lasciati in pace, gli inciuci bisogna metterli da parte. Le persone che lo hanno conosciuto lo ricordano per la bella persona e l’eccellente artista che era. Mi sento di poter dire, infatti, che di voci come quella di Mario ne nasce una ogni cento anni e nessuno potrà cantare le sue canzoni come lui.