Malata e contenta Napoli si estingue

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Nel suo ultimo libro – Tag, le parole del tempo (Rizzoli) – Domenico De Masi affronta ancora una volta il tema Napoli cui dedica un capitolo del corposo lavoro.
E, com’era prevedibile, le tesi suscitano interesse, curiosità, sentimenti contrapposti.
Citando Pasolini, il sociologo emerito espone quella gli pare una verità amara: i napoletani sono una grande tribù, abitante il ventre di una città di mare anziché il deserto, che ha deciso di estinguersi rifiutando la modernità.
I napoletani sono insomma fuori della storia: orgogliosamente e malinconicamente aggrappati a un passato che aveva riguardo per le loro moine; per la fanciullezza, l’arguzia, la pigrizia e tutte quelle caratteristiche – amate e odiate – che li rendevano speciali. Ora la specialità consiste in uno scollamento doloroso col mondo esterno.
Il che, sommato all’allargamento degli orizzonti dovuto alla globalizzazione, ci rende sempre più marginali e ininfluenti. Anche in patria, come dimostra il disinteresse del centro e del nord.
Chi sente di non appartenere a questo presepe, chi ha deciso di prendere le distanze da una rappresentazione della vita che a volte scade nel grottesco, prepara le valigie e se va. Come fanno molti giovani intraprendenti che della loro città non si fidano più.
Quanto lungo sarà il declino, quanto tempo metteremo a suicidarci, è questione secondaria.
L’idea di non esser fatti per appartenere a questa civiltà è così diffusa e condivisa che basta da sola ad anticipare gli effetti della scomparsa.
Quello che proprio non ha spiegazione, e ci condanna agli occhi di un mondo che pensa in modo ordinario, è l’incapacità di trasformare in benessere collettivo e individuale le ricchezze – naturali, storiche,artistiche – di cui siamo circondati.Si può reagire? Si vuole cambiare?Al momento non ci sono segnali che vadano in questa direzione.Gli anticorpi, che pure esistono, sono troppo pochi e troppo deboli per avere la meglio su un corpaccione malato e quasi compiaciuto della sua infermità.