Ma nel triennio horribilis che ci lasciamo alle spalle non tutto è da buttare via

Le attività di routine scalpitano cercando di non passare in secondo piano e con esse le creazioni dell’ingegno, vero motore delle economie avanzate, anche. Al giro di boa di un triennio che sicuramente nei libri di storia andrà a prendere posto tra i periodi cosiddetti “horribiles”, non tutto quanto è accaduto durante il suo corso sarà preceduto dal segno meno. Ancora una volta, di fatto giá da ora, chi ha appena un minimo di curiosità per i fatti determinanti del vivere civile, tra di essi potrà individuare situazioni positive che non sono fortuite, al contrario sono la naturale conseguenza che accompagna periodi connotati da forte incertezza. Tanto anche nel compimento di azioni vecchie e collaudate almeno quanto il mondo. È quindi la riconsiderazione dell’ovvio, anche se in chiave moderna, che sta caratterizzando l’agire umano a tutte le latitudini. Anche se si effettua una panoramica a spanne, il risultato comunque rifletterà che la ricerca del bene rifugio da mettere in magazzino sarà considerata seconda solo al reperimento dei beni di prima necessità. Ciò significa, per quanto possa sembrare paradossale, che il mercato del lusso, dopo una breve fase di quiescenza all’inizio della pandemia, si è rinforzato e non ha smesso di produrre utili. Stessa sorte sta toccando ai beni rifugio: a quelli classici, oro, preziosi e opere d’arte, di recente si sono aggiunti gli orologi di qualità, la cui domanda è schizzata con forza verso l’alto. Un primo commento della vicenda potrebbe essere positivo. Con un inflazione in costante crescita, si può credere a dovuta ragione che chi ha comprato abbia smobilizzato una parte dei propri risparmi che rimanevano da tempo improduttivi. È solo una goccia nel mare, comunque un indicatore che il fuoco della ripresa non ha mai smesso di ardere sotto la cenere. È in corso il forum annuale a Davos in Svizzera, osservatorio privilegiato e fucina di quanto andrà a concretizzarsi a stretto giro nel mondo. A tale incontro convengono, su invito dell’ente organizzatore, il World Economic Forum, imprenditori, politici, accademici che hanno a cuore le sorti del mondo. Quell’ente senza scopo di lucro è stato fondato e ha sede operativa in Svizzera. È sorto per volontà di un docente e dei suoi collaboratori e l’essere neutrale consente agli amministratori di coinvolgere nell’evento solo chi ha voglia di fare, soprattutto in maniera pacifica. È così che quest’anno i rappresentanti russi, sia imprenditori che personaggi del Cremlino, sono stati lasciati a casa. Nel frattempo Zelensky, seppure collegato da remoto, ha aperto I lavori riscontrando un notevole consenso.La convention andrà avanti fino a metà della settimana e è prevista la partecipazione di personalità di spicco internazionali del mondo dell’ economia, della finanza e della politica.Con molto realismo, anche sotto l’accorata pressione pro domo sua del presidente ucraino, il grano quest’anno ha rubato parte della scena all’intelligenza artificiale e agli altri temi che, in tempi normali, sarebbero stati i veri mattatori. Si ritorna così veramente, come nel tempo più volte è successo, a doversi dare da fare per soddisfare i bisogni primari come il nutrirsi. In effetti sostenere che in buona parte del mondo è prossima una carestia sui generis non è esagerato. Ciò che invece contrasta con ogni forma di comportamento che dovrebbe essere il comune agire umano è che il grano c’è ma poterne disporre è pressochè impossibile. I silos in Ucraina sono colmi ma la barbarie russa, tipica dei sistemi di governo che, per la loro stessa natura, hanno tutti i presupposti per sfociare in forme di totalitarismi dove il termine produrre assume il significato di sfruttare tutto e tutti, non ne permette l’utilizzo. Quanto innanzi è successo e succede ancora dovunque e in ogni epoca il tiranno di turno sia riuscito a insediarsi saldamente al comando di un popolo. Intendendo per tiranno chi si ritiene personalmente padrone del destino di chiunque venga a contatto con lui. Un tempo, in un passato remoto giusto quanto basta, in campagna vigeva il patriarcato. Appena un figlio o una figlia fossero stati in grado di lavorare, il capo famiglia li avrebbe così apostrofati: “sono padre e sono padrone, tu hai torto e io ho ragione”. Tale retaggio sopravvive tutt’oggi nelle società meno evolute e lo stesso, come in un circolo vizioso, rende più difficile il loro riscatto. Oltretutto gli inquilini del Cremlino sono arrivati a un livello tale di abiezione che ignorano scientemente che a giorni sarà pronta la nuova annata, cioè il grano della campagna in corso dovrà essere mietuto e trebbiato e subito dopo insilato. I cicli di produzione che la natura segue dalla notte dei tempi sono per ipotesi rigidi: si potranno conservare in tanti modi i prodotti raccolti ma non si potrà mai “congelare” un’epoca del processo produttivo. Fatte salve poche e non incisive realtà‐ un esempio possono essere le colture in serre -i cicli naturali vanno solo rispettati, senza presumere di poterli modificare. C’è di più. Un’altra rigidità del settore cerealicolo viene fuori dall’essere tra quelli definiti poveri. Come per tutti gli altri analoghi, anche per essi vale l’osservazione che la logistica incide molto per unità di prodotto, nel caso di specie la tonnellata. In tempi normali il frumento viene trasportato con navi particolarmente attrezzate, le bulckcarriers, concepite specificamente per il trasporto alla rinfusa. Ogni altro mezzo, su gomma o su ferro, è molto più oneroso e finirebbe per falsare notevolmente le quotazioni del prodotto stesso. Le granaglie sono quotate in borsa, precisamente quelle merci, che vengono tenute distinte dalle più note versioni dei valori. La più importante in assoluto è quella di Chicago, seguita a ruota da quella di New York. Al momento stanno funzionando entrambe a ranghi ridotti e seguendo logiche tutt’altro che mercantili, si legga quindi speculative. È presto per tirare conclusioni su come potrà definirsi la vicenda. Una cosa è però certa: se non si troveranno soluzioni in tempi quasi reali, la situazione si riproporrà peggiorata già nel prossimo autunno Semprechè nel frattempo non siano venute fuori altre problematiche ancora più perniciose. Nell’antica Roma, in situazioni del genere, si soleva dire: “quieta non movere”. Intanto è bene procedere a trecentosessanta gradi, non fosse altro che per evitare lo scrupolo di non averle tentate tutte. Almeno così la coscienza collettiva sarà chetata. O no?