Lo spazio cavo del dolore (e delle ali), l’arte ricorda il genio di Carlotta Nobile

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“Dove innesto le mie ali” è una di quelle frasi che ti si fissano in mente e lì rimangono, soprattutto se si considera la coraggiosa storia di Carlotta. Carlotta Nobile, violinista, scrittrice, amante dell’arte e della letteratura, è stata una di quei talenti che brucia le tappe. Si diploma in violino all’età di 17 anni e cinque anni dopo è già direttore artistico dell’Accademia di Santa Sofia di Benevento. Quando, appena ventiduenne, le viene diagnosticato un melanoma, che la strapperà via alla vita in breve tempo, Carlotta non si ferma, va avanti. E oggi, in ricordo del suo contributo e della sua straordinaria personalità, nasce …Oltre. L’Arte per Carlotta, un’esposizione di opere d’arte a lei dedicate che inaugura martedì 24 Maggio 2016 la Biblioteca di Carlotta Nobile presso l’Associazione Centro Studi Carlotta Nobile di Benevento.

La Biblioteca, che costituisce una sorta di lascito, un’eredità, sembra quasi rappresentare un continuum di quello che è stata la vita della musicista. Nasce infatti come archivio di 2000 opere a carattere scientifico, artistico, musicale, contenente pubblicazioni in lingua e introvabili altrove. Sono le stesse opere su cui Carlotta si è formata, compagne del suo breve ma intenso viaggio, e che ora, per volontà della famiglia, saranno fruibili al pubblico. La mostra a lei dedicata nasce, invece, dal contributo di quanti erano vicini alla Nobile, amici, conoscenti, ma anche di tanti che, pur non avendola mai conosciuta, ne hanno sentito la forza magnetica. L’esposizione, inoltre, si offre come contributo alla missione dell’Aism (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) di cui la ragazza era sostenitrice.

thumbnail carlotta nobile

Giuseppe Leone, artista la cui sensibilità è stata fortemente influenzata dall’esperienza di Carlotta, ha deciso di donare all’associazione nata in sua memoria un’opera dal titolo “Dove Innesto le mie Ali”, che nasce proprio su quel delicato rapporto tra dolore e forza. “Quando Carlotta parlava delle ferite causate dalle cure, le definiva il punto dove innestar le proprie ali, cosa che mi ha ispirato profondamente tanto che, il giorno dopo la sua morte, l’idea dell’opera ha iniziato a balenarmi in mente. E’ stato un processo naturale, istintivo, mitigato dall’approccio razionale che l’arte richiede” , spiega Leone. E così, sulla tela, un profilo candido si staglia sulla superficie nera. Incombe sulla sagoma una tavola dorata in cui si incastrano ventiquattro chiodi, ventiquattro come gli anni di vita di Carlotta. Ogni anno diventa un chiodo, una ferita, ma è proprio lì, nello spazio cavo del dolore, che si va ad innestare una piuma, un supporto solido per le sue nuove ali . E il tema della piuma ritorna ancora in maniera quasi profetica: “E’ proprio, mentre una mattina mi recavo in studio, che tra i ciottoli in pietra della strada trovai una piuma, piccola e bianca. Mi fermai, la raccolsi. Sarà stato un segno o un caso, ma sentii che il legame tra me e Carlotta si faceva palpabile. Quella piuma l’ho posta sul quadro per farla divenire la penna tramite cui si attinge ad un calamaio, simboleggiato dalla lettera C. E’ un calamaio con cui si può raccontare una storia ancora da scrivere.” A fare da inchiostro sarà allora il sangue che scende giù dalla tavola dorata, elemento di costruzione non solo plastica, ma anche simbolica: e’ con il dolore che costruiamo noi stessi, è il dolore a renderci quello che siamo, a farsi esperienza potentissima nelle nostre biografie.

“Come pittore ho sempre analizzato quel rapporto alchemico che si crea tra l’elemento, anche banale, e la tela. Ogni oggetto porta con sé una ragnatela di significati con cui l’artista deve confrontarsi. A venirne fuori non deve essere solo un’opera ben strutturata, ma emozionale. Il quadro deve parlare agli occhi dello spettatore, così come parla alla sua mente e ai suoi geni, al corredo dei significati culturali che involontariamente e non assimiliamo. Ma, innanzitutto, l’opera doveva vibrare di un messaggio primitivo: doveva avere la capacità di esprimere in maniera diretta e completa la storia di Carlotta. Del resto, io non ho mai dipinto ciò che può piacere, non mi è mai interessato decifrare i gusti altrui. Io dipingo quel che sento. E’ anche per questo che mi è sembrato naturale donare la mia opera all’Associazione Centro Studi Carlotta Nobile, per protrarre quel dialogo che già si è espresso attraverso le parole o gli accordi dell’arte.”

L’arte sembra, allora, il canto di una sirena a cui non si può resistere e che incendia i talenti, lì dove la gioventù alimenta il fuoco della passione. Carlotta Nobile, con il suo violino, non è lontana dal giovane Masaccio, che rivoluzionava la storia dell’arte senza neanche saperlo, con addosso solo il peso dei suoi pochi anni, ma con la sapienza e l’esperienza di chi di anni ne avrebbe potuti avere cento e anche di più.