L’interpretazione vince anche contro i giganti delle esposizioni

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Ancora una mostra articolata in più luoghi. il Museo e Real Bosco di Capodimonte, la chiesa del Pio Monte della Misericordia, il Museo Madre e la galleria Studio Trisorio ospitano Jan Fabre e le sue opere. Sculture d’oro e corallo, disegni di sangue, L’uomo che sorregge la croce, Omaggio a Hieronymus Bosch in Congo, L’uomo che misura le nuvole. Come sempre gli italiani sono i migliori titolisti sul mercato. Come resistere al fascino dei disegni di sangue? S’immagina qualsiasi cosa per scoprire che, come sempre, la realtà ha superato l’immaginazione perché l’artista ha usato il proprio sangue al posto della china. D’altra parte un uomo che misura le nuvole o che sorregge quella croce che ogni giorno tutti sentiamo di portare, e che altro non è che quella cosa enorme che è la vita, non può che essere oltre le righe in ogni senso. Le aspettative sono altissime, ed in nome di esse si è disponibili alla marcia, piacevolmente, forzata tra i luoghi d’esposizione. Che fatica però. Le sculture in corallo rosso, realizzate appositamente per Capodimonte contano sulla sensibilità, cultura e fantasia dell’osservatore che, se non guidato, non può che ammirarne la fattura, il soggetto e tutto si ferma lì. Scioccanti per intensità, realizzazione, soggetto, i disegni di sangue, creati dall’artista dagli anni Settanta ad oggi, si offrono ai visitatori celando, al di là di ogni didascalia, il segreto di un animo entusiasta di usare il proprio sangue per realizzare un opera. Il coraggio di incidere il proprio corpo, di vedere colare il sangue di accorgersi della possibilità di farlo diventare un disegno. Non basta la citazione “Ho comprato delle lamette Gillette. E nella mia stanzetta d’albergo mi sono tagliato la fronte. Ho fatto sgocciolare il sangue del mio pensiero. È diventato una serie di bei disegni. (Avevo l’eccitante sensazione di star facendo qualcosa di proibito)” Musica, luce, qualsiasi mezzo per trasmettere al pubblico l’emozione. Si può fare di più, diceva una vecchia canzone, e sembra calzare come un guantino su tante iniziative napoletane. Almeno sulla maggioranza. Il visitatore si ciba di emozione non solo di informazioni tecniche: l’esposizione alla galleria Trisorio, sebbene emotivamente meno dirompente delle opere di sangue, diventa molto interessante con le sue scenografie, luci e modalità d’esposizione. Le corazze di scarabei iridescenti, le tre nuove sculture e i due grandi trittici ispirati alla storia della colonizzazione del Congo belga sono presentati con capacità scenografica ed emozionale e il visitatore non può esimersi dal desiderio di oltrepassare gli archi che inquadrano le sculture per entrare nelle emozioni dell’artista, nella storia che vuole raccontare. Non è un caso. Le capacità interpretative che si leggono nelle diverse esposizioni sono diverse e diversamente incidono sul pubblico. Non domandiamoci allora perché davanti allo studio Trisorio non ci sia stata una fila lunga fino alla fine della strada. Le potenzialità di marketing delle 4 strutture coinvolte nell’esposizione sono enormemente diverse, diversi i flussi turistici, diverse le gestioni. Davide contro Golia. Proprio. Ed infatti la piccola Davide- galleria Trisorio in qualità espositiva batte l’enorme Museo di Capodimonte-Golia. Gravare i dipinti di sangue di tutto il peso psicologico del gesto di tagliarsi con una lametta, anche se per istinto d’arte, sarebbe stato dirompente. Spiegare con luci e musica il legame delle sculture in corallo con l’antichità di alcune opere dell’esposizione fissa di Capodimonte avrebbe realmente inchiodato i turisti davanti a quelle prove d’abilità manuale, emotiva e culturale. La differenza tra le mostre è tutta di tecnica espositiva. L’interpretazione è la carta vincente.