1%. È quanto valgono al Sud gli in investimenti esteri diretti che raggiungono l’Italia. Un livello così basso denuncia l’assoluta irrilevanza del territorio per i capitali stranieri che si dirigono dove 1%. È quanto valgono al Sud gli in investimenti esteri diretti che raggiungono l’Italia. Un livello così basso denuncia l’assoluta irrilevanza del territorio per i capitali stranieri che si dirigono dove maggiore è la promessa di profitto. Il dato è ancora più imbarazzante se si considera che gli Ide non superano in Italia l’un per cento del Prodotto interno lordo contro una media Ocse del 2,3 per cento e una media europea del 3,2. (Qualcosa sta cambiando in questi mesi con l’acquisto di quote in alcune imprese di primo piano da parte della People’s Bank of China e l’ingresso in Alitalia degli arabi di Etihad). 11%. Nonostante gli sforzi degli ultimi anni, questo è il contributo all’export delle regioni meridionali: circa 45 miliardi su 400. E non basta perché il dato scende all’8 per cento se depurato dalla raffinazione dei prodotti petroliferi. La Sicilia si piazza al primo posto e subito dopo la Campania; in coda Molise e Calabria. I comparti più promettenti – raffinazione a parte – sono l’aeronautico, l’automotive, l’agroalimentare, i farmaceutici, il tessile e l’abbigliamento. 15%. È l’ammontare degli impieghi creditizi che si fermano nel Mezzogiorno a 285 miliardi sui quasi 2.000 complessivi erogati dal sistema. I tassi praticati dalle banche alle imprese sono in media 4 o 5 punti superiori che al Centro-Nord come risposta alla crescita esponenziale d’incagli e sofferenze. La bassa e cattiva qualità del credito è tra le principali cause di un’economia in default. 20%. Con 320 miliardi è questo il contributo alla produzione nazionale. Si tratta di un dato di tutto rispetto, superiore a quello di molte nazioni europee come la Finlandia, la Romania, la Danimarca, il Portogallo, la Grecia. Anche se fiaccata da una perdita notevole maturata negli ultimi anni, a guidare la graduatoria è sempre la Campania con 85 miliardi; a chiuderla è il Molise con 5,5. Molto negativo è il risultato del valore aggiunto strettamente industriale caduto nel 2013 a meno del 12 per cento a fronte del quasi 21 per cento del Centro-Nord. 25%. È su per giù il peso di occupati, consumi e cassa integrazione. A seguito di un crollo notevole, gli occupati sfondano per la prima volta il pavimento psicologico dei 6 milioni per diventare all’inizio di quest’anno 5.782.000 (22.172.000 nel Paese). I consumi superano la produzione ma sono in forte calo anche nella parte dei beni primari, per esempio l’alimentazione, come causa ed effetto della contrazione della domanda che si avvita così in un circolo vizioso. La cassa integrazione brucia 256 milioni di ore nel 2012 ed è meno accentuata che nel Centro-Nord perché si riferisce a una base assai più ristretta di lavoratori. 35%. È la quota di popolazione: circa 21 milioni su 61. Il rapporto con la produzione (20 per cento) e i consumi (25 per cento) è indicativo della scadente ricchezza individuale che non supera il 55,8 per cento di quella del Centro-Nord e il 65,1 per cento della media europea. Si prevede che nel 2065 il numero di abitanti scenderà nel Sud a 16,7 milioni con un duplice effetto d’invecchiamento e spopolamento che non riguarderà il resto del Paese. 40%. È il territorio occupato dal Mezzogiorno continentale più le isole con 123.000 chilometri quadrati e una densità di popolazione di 167 abitanti contro 200 della media nazionale. I cinque comuni con la maggiore concentrazione (da 12.270 a 8.130 abitanti per chilometro quadrato) sono tutti nella provincia di Napoli: Casavatore, Portici, San Giorgio a Cremano, Melito e appunto il capoluogo. 50%. Soglia dolente per disoccupati e povertà. Nel Mezzogiorno si concentra la metà di chi non ha lavoro e delle famiglie indigenti del Paese. Qui un terzo dei nuclei non riesce a riscaldare a sufficienza le abitazioni e un quarto della popolazione non può consentirsi di fare un pasto adeguato almeno ogni due giorni. Le mense della Caritas e delle altre formazioni caritatevoli sono letteralmente prese d’assalto. 60%. È il livello ormai raggiunto dalla disoccupazione giovanile. Un fenomeno diffuso in tutto il Paese ma che nelle regioni meridionali sta assumendo caratteristiche di allarme sociale con un fenomeno di nuova emigrazione meglio conosciuto come fuga dei cervelli. A differenza dei progenitori, a fare la valigia sono i ragazzi più preparati che raramente riescono o sono intenzionati a tornare alla base con un effetto di compressione del gradiente culturale che è facile immaginare. 70%. È la quota di spesa comunitaria attribuita al Sud come area sottoutilizzata. È meno di quanto sarebbe dovuto (80 per cento) ed è condizionata al ribasso da una scarsa spesa ordinaria che non supera il 30 per cento e inchioda la spesa media al 35 per cento: al di sotto dunque del fabbisogno ponderato (popolazione e superficie) che è pari al 38 per cento. In assenza di un impegno aggiuntivo e compensativo delle arretrate posizioni di partenza sarà difficile che il Sud possa avvicinarsi al Nord come appare evidente da tutti i recenti studi sull’argomento. 80%. A tanto ammonta il tributo delle regioni meridionali alla crisi economica in termini di perdita occupazionale calcolata il primo trimestre di quest’anno sul periodo analogo nel 2013: 170mila posti di lavoro andati in fumo a fronte dei 41mila registrati nel Centro-Nord. 90%. È l’impiego relativo dei fondi strutturali legati alla competitività delle imprese nel periodo 2007-2013: 2,9 miliardi sui complessivi 3,2. Purtroppo i finanziamenti sono stati utilizzati nel Mezzogiorno per attivare circa seimila piccoli progetti senza riuscire a provocare quel potenziamento del sistema che era alla base dello stanziamento. Anche le poche risorse destinate al Centro-Nord hanno subito la stessa frammentazione. 100%. È il record assolutamente negativo toccato dalle province meridionali nelle due graduatorie della qualità della vita e del maggiore disagio imprenditoriale. In entrambe le circostanze le ultime venti posizioni sono tutte occupate da città del Sud. Nel primo caso (indagine del Sole24ore) in fondo alla classifica figurano le due ex capitali del Regno Palermo e Napoli con Nuoro nella migliore posizione al 40esimo posto. Nel secondo, che misura quindici indicatori che vanno dallo spessore economico al disagio sociale, a fare la parte dell’ultima della classe è Enna (la meglio piazzata, al 37esimo posto, Cagliari). 110%. Per alcuni è il dato più preoccupante e rappresenta il tasso relativo di caduta degli investimenti industriali dal 2008 al 2013 che condiziona fortemente le prospettive di ripresa delle due parti del Paese: meno 53,4 per cento al Sud contro il meno 24,6 per cento del Centro-Nord. Si tratta di due informazioni del tutto negative ma quella riferita al Mezzogiorno definisce bene il processo di desertificazione denunciato dalla Svimez.
La fotografia della crisi Così il Sud sprofonda • 16% degli addetti alla ricerca scientifica • 17% degli arrivi turistici (12% di quelli stranieri) • 18% delle aree interportuali infrastrutturate • 25% dei fallimenti • 26% degli investimenti fissi lordi • 31% dello stock di debito degli enti locali e territoriali • 32% delle imprese attive (con quasi nulla presenza di quelle grandi) • 36% delle imprese femminili • 40% delle nuove imprese giovanili • 42% della rete stradale (32% di quella autostradale) • 50% del numero degli appalti pubblici (32% dell’importo nazionale) Il Mezzogiorno dà i numeri. Meglio, diamo i numeri al Mezzogiorno per comprendere meglio il suo valore relativo nei confronti del Paese e per aver un’idea delle dimensioni economiche e sociali che lo definiscono mentre rischia di affogare nel mare di una stagnazione che promette di dispiegare i suoi effetti per almeno altri due anni. Più che uno scatto fotografico, quello che segue è il fotogramma di un film.