L’incompetenza qualificata è ben retribuita

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di Ugo Righi

Facciamo una considerazione elementare: il valore di un sistema si misura mettendo in relazione l’input ovvero il costo (quello si mette nel sistema, )l’elaborazione (la combinazione degli elementi) e l’output (il risultato, il guadagno).
Ovviamente per valutare il rendimento non si deve vedere solo l’output ma anche il costo dell’input e la capacità dei processi di elaborazione.
Cosa si può dire di un sistema (la nostra meravigliosa Italia) che appesantisce il costo e che ha dei processi caratterizzati da incompetenza diffusa e da iniquità?
I grandi temi del costo e dello spreco non sono mai davvero affrontati, si ragiona prevalentemente dell’output.
Non passa giorno che a fronte delle notizie grottesche di una burocrazia sadica, e carogna, che impedisce il fare e che si accanisce contro i deboli io, ma penso in molti, non mi senta profondamente incazzato e impotente.
Il bello è che lo sappiamo tutti, lo diciamo tutti, ma non cambia e anzi quando si afferma che si vuole semplificare allora s’incasina ancora di più.
Ma non è solo incompetenza è competenza all’errore volontario.
Non ci sono più dubbi su questo punto: si può sbagliare perché non si sa, e questo è comprensibile, ma quando l’errore è volontario e produce inefficienza è, apparentemente, meno chiaro.
Ma l’unica spiegazione è che è svantaggiosa a livello organizzativo ma «vantaggiosa» per cricche e bande,: l’inefficienza produce lavoro, quindi sicurezza.
Gli esperti dell’errore volontario sono capaci di generare inefficienza e capaci di crearsi facciate inattaccabili da chiunque, riuscendo spesso a rendere plausibile l’insensatezza di alcuni comportamenti.
L’inefficienza esperta, quella praticata da professionisti, si maschera sempre da impegno, sforzo, tenacia per legittimarsi.
All’interno di comportamenti guidati dall’inefficienza, si nascondono, (senza che questo sia visibile con facilità perché l’errore iniziale diventa l’elemento generatore di tutto) assurdità, paradossi, incoerenze.
Infatti, la soluzione per certi problemi è, spesso, sotto gli occhi di tutti, ma la complicazione che si riesce a creare allontana sempre di più la possibilità di coglierla.
I ritmi sono spezzati e producono procrastinazione, l’incapacità di analisi produce non realizzazione, le comunicazioni sono carenti e confuse e producono incomprensione, le relazioni sono di sospetto e producono sfiducia, le dinamiche sono di alleanze contro e producono inimicizie e sabotaggi.
La procrastinazione, la sfiducia, l’incomprensione, l’inimicizia, la non realizzazione determinano inefficienza e quindi necessità di tempo e risorse per essere gestita.
E così il lavoro è assicurato.
Ci si trova di fronte a un paradosso: ciò che impedisce l’efficienza diventa, per un vizio originario di cecità intenzionale e no, necessario alla sopravvivenza, che si fonda sempre più nella mediocrità e sullo sviluppo di una competenza patologica.
Tutti i principi di management, e di banale buon senso, auspicati sono violati.
Bisogna parlarne ma guai a provare ad applicarli.
Se lo fai sei punito, sei escluso perché i giochi sono condotti, a tutti i livelli, da soggetti abbaianti che nella loro luccicante sicurezza vogliono abituarti alla cecità.
Si deve non fare o fare male per poi rifare diventando poi abili nel dissimulare l’errore intenzionale.
Quando l’abilità dissimulatrice unita a quella di esperto dell’errore è alta, allora si fa carriera.
Non è sempre così ma lo è spesso e certamente lo è nella pubblica amministrazione.
Però occorre prendere posizione contro comportamenti individuali e organizzativi difensivi, ambigui e incompetenti.
Si può far molto contro l’errore e l’ignoranza involontaria, ma bisogna lottare contro quella sapiente ignoranza volontaria che distrugge tutto e che sembra proprio essere invincibile.