La governance degli oceani è aumentata e si è sviluppata con il continuo progresso della globalizzazione dalla fine degli anni Quaranta e all’inizio degli anni Cinquanta, e ha gradualmente formato due approcci: regionalismo e internazionalizzazione.
Attualmente, il percorso internazionalista della governance oceanica sta attraversando venti contrari: le sfide dell’antiglobalizzazione, il populismo, il nazionalismo, il protezionismo economico e l’unilateralismo.
Gli approcci di regionalismo e internazionalizzazione della governance degli oceani hanno i loro vantaggi e si completano a vicenda. Di fronte alle sfide e alle minacce essi sono indispensabili per la corretta gestione dei traffici interoceanici, mentre i vantaggi del regionalismo verranno gradualmente incorporati, formando un percorso ibrido.
La Cina, che sostiene un percorso multilaterale, promovendo la cooperazione in materia di governance marittima nel Mar Cinese Meridionale (MCM)e nelle aree circostanti, si adopera per ottenere più voce nella ricostruzione del sistema di governo marittimo mondiale, per favorire l’opzione più fattibile ch’à la costruzione di una “comunità oceanica”.
In tal senso agiscono anche altri Paesi di peso maggiore o inferiore nel rapporto di forze strategico. Il futuro è talassocratico e lo dimostra prima di tutto l’VIII Conferenza Mondiale Annuale sull’Oceano (WCO-2019) si è tenuta dal 2 al 4 novembre 2019 a Shenzhen, in Cina.
Capi di Stato e di governo, nonché illustri ospiti di tutto il mondo erano alla cerimonia di apertura: rappresentanti di più di 30 Paesi. Durante l’intera conferenza di tre giorni hanno preso la parola più di 500 congressisti.
Ma non solo la Cina agisce in tal senso. Sia gli USA che il Giappone attribuiscono grande importanza alla sicurezza dei canali marittimi, ed entrambe le parti hanno le proprie intese strategiche.
Garantire la propria presenza nei canali marittimi è il percorso principale per i due Paesi – come abbiamo visto nei precedenti interventi – onde approfondire la cooperazione militare e promuovere il rafforzamento della loro alleanza.
All’interno d’essa, il continuo miglioramento della capacità di “autodifesa” del canale marittimo giapponese non si riflette solo nella risposta del Giappone alle esigenze strategiche dell’alleato, ma si manifesta anche nel fatto che il Giappone, al di fuori del quadro degli accordi nippo-statunitensi, intraprende azioni indipendenti di volta in volta.
Esso tenta di ricostruire una propria potenza marittima, sebbene le priorità strategiche unitarie di Washington e Tokyo siano diverse, le due parti hanno adottato varie misure per intervenire congiuntamente nelle controversie sui diritti marittimi nell’area in cui si trova un canale marittimo X, e ciò intensifica le tensioni sulla sicurezza regionale.
Inoltre la cooperazione tra Giappone e Australia per la sicurezza, dopo la guerra fredda si è gradualmente rafforzata e la transizione da alleati “indiretti” a “quasi” alleati è stata realizzata. Per quanto riguarda la ragione di tutto ciò, tre sono i motivi principali: gli USA sono stati a promuoverla; lo spillover economico fra i due Paesi, e il tenere a bada la Cina.
Ciò ha molteplici impatti sulle relazioni bilaterali fra i due Stati, sul sistema di alleanze Asia-Pacifico e sull’ambiente di sicurezza regionale. Per quanto riguarda la Cina, è necessario prestare attenzione alla sua autonomia, al consolidamento dell’integrazione degli interessi con Giappone e Australia, per ridurre le probabili minacce alla sicurezza dell’Impero di Mezzo e favorire la costruzione di un ordine di sicurezza regionale diversificato e inclusivo nell’arco del MCM.
Come punto di partenza della Via della Seta marittima del XXI secolo, il predetto mare è anche l’area centrale della trasformazione strategica della Marina da guerra e mercantile cinese. Il MCM non è solo l’intersezione delle due linee strategiche marittime cinesi a forma di X derivate dalla Via della Seta, ma pure il “Mediterraneo asiatico” e il “Mar Caraibico” cinese: ossia il punto di partenza per la trasformazione strategica centrale della Marina cinese.
Nella Via della Seta la costruzione nel contesto della futura Marina cinese determinerà gradualmente il MCM quale asse di base che svilupperà la strategia dall’Oceano Indiano al Pacifico occidentale: il MCM quale fondamento strategico della Via della Seta, con tutto ciò che consegue dai punti di vista economico, commerciale e militare, per cui geopolitico.
Intanto la Cina e le Filippine – importante fattore di quel mare – hanno promosso attivamente la cooperazione allo sviluppo di petrolio e gas nel MCM negli ultimi anni.
Gli ostacoli legali nelle prime pratiche di sviluppo congiunto tra le due parti sono ancora i principali fattori restrittivi nell’avanzamento della cooperazione. La Cina e le Filippine hanno differenze sul fatto che parte l’Arcipelago Nasha (Isole Spratly, ricco di giacimenti petroliferi nei fondali) siano contese tra RP della Cina, Filippine, Malaysia, Taiwan, Brunei e Vietnam.
È difficile per entrambe le parti raggiungere un accordo sulla natura giuridica e sull’applicazione della legge per la cooperazione allo sviluppo.
Nell’attuale dilemma legale e nella situazione del MCM, potrebbe diventare un fattore ulteriore di attrito. Cogliendo l’occasione per risolvere tale dilemma giuridico è particolarmente necessario applicare il diritto internazionale in tale controversia.
Da quando gli USA hanno proposto la strategia indo-pacifica, Giappone, India e Australia, i tre Paesi pilastri della strategia marittima della Casa Bianca, hanno risposto positivamente, ciascuno ha introdotto la propria geopolitica e ha formato il cosiddetto meccanismo delle quattro nazioni.
L’ASEAN, che si trova nell’area centrale della strategia indo-pacifica degli USA, non ha mai ricevuto l’attenzione che merita da parte di Washington, mostrando esitazioni verso la strategia della Casa Bianca.
Essa ritiene che le mosse degli USA nel MCM ostacolino lo sviluppo e la sicurezza dei rispettivi Paesi. Gli USA, per la loro incapacità di affrontare da soli la Cina, stanno perseguendo la asiaticizzazione sudorientale della propria strategia appoggiandosi a grandi Paesi della macroregione e trascurando i meno potenti, invece che favorire direttamente gli Stati dell’ASEAN.
In sostanza, gli USA hanno ridotto ai minimi termini l’unità interna dell’ASEAN e scosso la presenza di quell’organizzazione internazionale nella regione.
Per ciò che concerne l’Europa e le ex grandi marine britannica e francese, il nulla o quasi assoluto in termini geopolitici. Da parte italiana, perlomeno dalla fine della II Guerra Mondiale, priva di patetiche velleità talasso-imperalistiche, come i predetti, intravvediamo degli sviluppi interessanti.
Il collegamento tra Genova e Shenzhen, uno dei principali scali della Cina, che da solo nel 2018 ha generato un Pil di 352 miliardi di dollari, è già saldo.
Il porto di Shenzhen è un nome collettivo di una serie di porti lungo parti della costa di Shenzhen, nella provincia del Guangdong, tra cui Yantian, Shekou, Chiwan, Mawan, Dachan Bay, Dongjiaotou, Fuyong e Xiagong.
Durante la visita del Presidente Xi Jinping in Italia (marzo 2019) è stato firmato un accordo con l’obiettivo di collaborare alla realizzazione del programma straordinario di investimenti urgenti per il recupero e lo sviluppo del porto di Genova a seguito del crollo del ponte Morandi nell’agosto 2018.
Nel corso della visita sono stati firmati 39 accordi fra istituzionali e commerciali, coprendo un’ampia gamma di temi e settori industriali, tutti dominati da un trattato globale non vincolante per l’Italia di cooperare con la Cina nella nuova Via della Seta.
L’Italia ha possibilità di sviluppare uno dei maggiori punti della volontà cinese di cambiamento: quello delle energie rinnovabili, ecologiche ed abbondanti. In tal obiettivo s’inseriscono gli studi per l’energia prodotta dalle onde e dalle maree (tidal energy).
L’Università di Pisa, ha studiato un dispositivo posto sul fondo del mare e un sistema mobile che segue il ciclo delle onde. Non vanno trascurate le preoccupazioni cinesi riguardo all’eliminazione del carbone, oppure ai vantaggi della desalinizzazione.
Per ciò che concerne la produzione energetica dal mare, le università del nostro Continente, e specialmente quella di Torino, hanno individuato tre filoni di ottimizzazione: a) delle turbine che funzionino nei due sensi delle correnti indotte dalle maree, b) delle turbine montate sotto a galleggianti, senza però esporre le macchine alle tempeste, c) delle turbine attaccate ai cavi, come è stato progettato per gli apparati nello Stretto di Messina.
E funzione perfettamente anche Dimemo, un sistema per ricavare l’energia dall’impatto delle onde, attivo nel porto di Napoli.