Letteratura e chatbot, se l’intelligenza artificiale comincia a produrre romanzi. Parla Fabio De Felice

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in foto Fabio De Felice

Se il cervello umano resta, per gli esperti di scienze cognitive, l’ultimo continente da esplorare, gli studiosi di intelligenza artificiale sembrano spingersi molto più avanti. Si occupano dell’ambito che unisce ai fondamenti teorici gli elementi di progettazione hardware e software volti ad estendere ai computer facoltà che (sembravano) di esclusiva pertinenza del genere umano. “Siamo entrati ormai in un territorio in cui l’agire umanamente e pensare razionalmente non sono più appannaggio dell’uomo soltanto, con tutti i problemi etici che ciò comporta”. Parla Fabio De Felice, imprenditore, fondatore di Protom, docente presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Meccanica dell’Università degli Studi di Cassino. E aggiunge: “Mentre attendiamo l’impatto reale delle profezie di scienziati che considerano l’intelligenza artificiale una minaccia per l’umanità, potenzialmente più pericolosa del nucleare, è il caso invece di indagare gli effetti innovativi che la realtà digitale impone, tra l’altro, anche nel campo della creazione artistica e letteraria”. Opinionista ed esperto del settore, porta la sua firma una rubrica dedicata alla realtà digitale ospitata dal Mattino e d ha attiva una collaborazione con “Agenda digitale”, dove di recente ha pubblicato saggi sul delicato e intrigante rapporto tra arte e tecnologie digitali.

Dal cinema alla letteratura, passando per le avanguardie artistiche del Novecento… La sua trilogia per Agenda digitale in che modo si può riassumere?
Anzitutto nell’impegno a indagare il rapporto tra digitale e analogico ed alle conseguenze che tale confronto fa emergere sulla dimensione umana. Iniziamo infatti ad assistere a sempre maggiori sperimentazioni nelle quali noi umani adattiamo il nostro mondo ai robot o ai sistemi digitali che ci circondano. Il problema del frame, ovvero l’impegno a circoscrivere l’azione dei robot per aumentare l’efficienza, rischia di trasformare le nostre realtà. Stiamo forse adattando il mondo alle macchine? Questa è la prima domanda.

E qual è la sua risposta?
In effetti sembra che il digitale abbia preso in ostaggio l’analogico e questa realtà ci sta inducendo a cambiare molte nostre certezze e il mondo in cui noi umani operiamo. Il principale luogo di innovazione, come al solito, si avverte nel modo di produrre e fruire l’opera d’arte. Un esempio? Negli ultimi anni diverse case d’asta, e Christie’s in particolare, hanno portato l’arte digitale all’attenzione del grande pubblico, spingendo molti artisti verso la creazione di opere generate da GAN, acronimo di Generative Adversarial Networks. Risultato? Oggi le persone spendono milioni per un NFT (Non-fungible token).

Siamo all’epilogo del processo di dematerializzazione dell’arte, a cui hanno dato un contributo importante le avanguardie del Novecento?

Non solo arte figurativa. La tendenza incrocia persino la narrativa, dando una implicita conferma al famoso saggio di Italo Calvino, che si intitola “Cibernetica e fantasmi”, pubblicato nel lontanissimo 1967, anno in cui lo scrittore ligure, figlio di botanici e appassionato di scienza, affronta con largo anticipo il tema della produzione digitale dei testi creativi, premessa per la stesura del primo romanzo ad opera di un cervello non umano. Ventiquattro anni prima della nascita del Web, Calvino lo scrittore ligure già aveva pronosticato una funzione che oggi viene attribuita ad alcune funzioni dell’intelligenza artificiale…

Quali in particolare?
In estrema sintesi, la possibilità che un “cervello elettronico” potesse sostituirsi a un autore nella produzione di romanzi. La riflessione parte dalle scienze umane, ricerca storica inclusa, che si vanno matematizzando nella seconda metà del secolo scorso. In parallelo si registra l’avvento della cibernetica, che fagocita processi che parevano più refrattari a una formulazione numerica, a una descrizione quantitativa. Con la cibernetica nasce la scienza preposta alla realizzazione di dispositivi capaci di simulare le funzioni del cervello umano mediante la sostituzione dei meccanismi neuronali con circuiti elettrici ed elettronici. Anche i linguisti vengono influenzati dalle teorie dell’informazione e prendono a ragionare in termini di codici e messaggi, cercando di stabilire l’entropia del linguaggio a tutti i livelli, compreso quello letterario.

Quando si entra nella prospettiva di affidare a un software la creazione di un testo letterario?

I cervelli elettronici negli anni Sessanta erano già in grado di fornire modelli teorici convincenti per i processi più complessi della nostra memoria, delle nostre associazioni mentali, della nostra immaginazione, della nostra coscienza. Il passo successivo porta a immaginare il testo letterario elaborato da un calcolatore. Siamo negli anni in cui si afferma anche la scuola “neo-formalista” sovietica, che impiegava le ricerche cibernetiche e la semiologia strutturale per l’analisi letteraria.

Qual è l’approdo di questi orientamenti epistemiologici e qual è l’impatto che determinano sul destino dell’opera letteraria?
Stabiliti i procedimenti basici che sono a fondamento della creazione poetica e narrativa, avremo “la macchina capace di sostituire il poeta e lo scrittore”. Non diversamente dalle macchine che leggono ci saranno quelle che eseguono un’analisi linguistica dei testi letterari, che traducono, che riassumono. Così – si domanda – avremo macchine capaci di ideare e comporre poesie e romanzi?”. Per poi rispondere che nulla vieta di prevedere una macchina letteraria che si metta in proprio, passando a proporre nuovi modi di intendere la scrittura, sconvolgendo i codici tradizionali.

Veniamo a tempi più recenti. La notizia della nascita di un sistema di intelligenza artificiale che scrive poesie e racconti è del 2014, non è così?
E in sei anni è cresciuto enormemente. Lo ha sviluppato Microsoft Asia ed è attivo, oltre che in Cina, anche in Giappone e Indonesia. E sa fare molte cose, come racconta Gigio Rancilio in un articolo su Avvenire.it: confeziona notizie per il Qianjiang Evening News, quotidiano che vende un milione di copie. Ha un suo programma tv sulle previsioni del tempo. Canta molto bene, perché può “assorbire” le abilità di qualunque cantante umano. Infine sa raccontare alla perfezione le favole ai bambini e si occupa di design e di arte.

E’ l’inizio di una nuova era o di un nuovo genere di poesia?
E’ il segno inequivocabile di una transizione in corso: dal mondo in cui gli esseri umani sono chiamati a comprendere i computer al mondo in cui saranno i computer a capire le nostre intenzioni, ribaltando così i timori di chi vede nell’intelligenza artificiale un nemico dell’arte e degli artisti.

Il fenomeno dell’intelligenza artificiale che produce testi poetici impatta anche il contesto italiano?
Il marketing manager Michele Laurelli, fondatore del magazine online “Midnight” è stato il primo a istruire un’intelligenza artificiale per realizzare testi poetici con il sistema Poiatry, che ha assimilato le composizioni dei poeti principali del Novecento scomparsi da più di settant’anni, ottenendo un muro di testo che poi è stato trasformato in numeri.

Quindi non è il caso di preoccuparsi dell’intelligenza artificiale come di un’entità che, alla fine, finisce per surrogare il ruolo del narratore?
Poeti e narratori dovrebbero farsi carico della “fascinazione” che nasce dalle possibilità di una “nuova intelligenza” che concorre al progetto di comprendere e rappresentare la realtà. La battaglia fondamentale della letteratura, come dell’arte figurativa, è provare a forzare i confini assegnati. Ma quel che più conta è che a dare il “la” a un componimento, sia pure di tipo digitale, è sempre l’uomo. L’intelligenza artificiale non può avvalersi di una scintilla interna, di un moto interiore. Non conosce commozione o pietà orgoglio o amore. Il risultato poetico sarà sempre l’effetto particolare d’una performance “artificiale” sull’uomo dotato di una coscienza e di un inconscio. Affinché si manifesti in forma intensa la forza di un’opera d’arte, occorre che prima o attorno alla “macchina scrivente” dell’intelligenza artificiale si manifestino i fantasmi nascosti, dell’individuo come della società.