“Legale”, odioso e ingiusto. A Napoli la legittimità del governo è in progressiva erosione

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in foto: Napoli, una protesta contro il coprifuoco anti COvid

di Italo Pardo (University of Kent e International Urban Symposium-IUS)
i.pardo@kent.ac.uk

Come è naturale, il crescente divario tra governanti e governati è particolarmente risentito nei sistemi democratici. Le sue serie ramificazioni si fondano su un serio problema che potrebbe essere di non facile soluzione ma che può e deve essere affrontato con urgenza. A complicare le cose, pochi governanti sembrano interessati a riconoscere la natura, o addirittura l’esistenza di questo problema. Ciò si combina con la carenza di conoscenza empirica sulla legittimità della gestione del potere dei gruppi dominanti.

Il mio interesse per la legittimità e i processi di legittimazione e delegittimazione risale ai primi anni ’90 (Pardo 1995, 1996, 2000). Fui stimolato dalla riflessione sul netto contrasto tra la mia etnografia dei napoletani ordinari, la loro falsa rappresentazione nella letteratura scientifica e nei media e il loro conseguente maltrattamento da parte di governanti che li consideravano con supponenza e disprezzo e che, a loro volta, non godevano di fiducia o legittimità tra la maggior parte della popolazione (Pardo 2001; 2017: 37-43). Allora, come oggi (Pardo 2006: 26-28; 2017), i napoletani ordinari sono stati trattati di fatto come cittadini di seconda classe, oppressi da politiche avverse che hanno avuto un forte impatto sulla loro vita e hanno fortemente motivato la loro crescente distanza da ciò che descrivono come “poteri predatori” che governano secondo il principio “due pesi due misure“ (Pardo 2012: 68-73). Da etnografo impegnato sul campo (Pardo 2017: 35-36), ero convinto che una comprensione approfondita della complessità morale e del valore sociale dell’azione individuale in questa importante realtà urbana avrebbe contribuito a produrre una visione migliore delle dinamiche chiave di legittimità e legalità nel rapporto tra cittadinanza e governance nella politica sociale, nella legislazione e nell’accesso ai diritti (Pardo 2018). Da qui nasce la decisione di condurre uno studio antropologico sul funzionamento del potere. Altrove ho descritto dettagliatamente questa esperienza (Pardo 2018). Qui, in sintesi, mi limito a indicare che ho vissuto a Napoli per diversi anni svolgendo osservazione partecipante tra cittadini ordinari e élite locali e integrando i dati con lo studio approfondito di casi significativi di individui ed eventi. Nel corso di un trentennio ho studiato sul campo la gestione che gruppi chiave fanno del potere e dell’autorità. Ho regolarmente aggiornato il mio materiale empirico sui napoletani ordinari, sui loro governanti e su élite influenti in ambiti chiave (finanza, economia, giustizia, politica, media, accademia e sindacati)# e, in seguito, anche sugli immigrati (2009, 2020).

Col progredire di questo programma di ricerca di lungo respiro, la mia comprensione del rapporto tra governanti e governati e delle forze che stanno modellando l’Italia contemporanea si è gradualmente approfondita e rafforzata. Nel corso del tempo, ho constatato che “il sistema” ha smesso di essere coerente e competente. Questo fallimento sta causando scismi, e sta esacerbando disuguaglianze e precarietà, mettendo in serio pericolo le basi stesse della democrazia. Molti anni fa ero preoccupato per il pericolo che la combinazione tra poteri legali che mancavano di legittimità nella società più ampia e la motivata sfiducia della gente ordinaria per rappresentanti delle istituzioni e del governo locale poteva evolversi in nella perdita di legittimazione delle istituzioni stesse (Pardo 2001). Oggi in Italia e, chiaramente, altrove nel mondo democratico questo pericolo è realtà, come nel caso greco (Spyridakis 2018), e forse meno dolorosamente ma altrettanto problematicamente in buona parte dell’Unione Europea.

L’Italia è, ovviamente, una democrazia consolidata. Ma la democrazia italiana non è sana; è considerevolmente indebolita dalla mancanza di fiducia tra governanti e governati e da una profonda crisi di legittimità nella vita pubblica. Il contratto democratico è stato sostanzialmente danneggiato dalla radicata tendenza tra chi governa a barattare la legittimità col potere; una tendenza che ha sistematicamente esposto l’azione di governo a una umiliante perdita di autorevolezza. A ingigantire il problema, questa distorsione della responsabilità politica nell’esercizio del potere, e in molti casi il suo uso distorto, si sono diffusi in gran parte del sistema politico.

C’è dell’altro.

Gravi anomalie hanno progressivamente sfigurato la democrazia italiana. Notoriamente, il paese ha esperito un susseguirsi di presidenti del consiglio e governi non eletti ma nominati attraverso una procedura che può anche esse re costituzionalmente corretta, quindi legale, ma che ha convinto gli italiani di avere poca o nessuna voce in capitolo nel decidere chi li governa. Queste azioni di coloro che dovrebbero essere autorevoli rappresentanti dello Stato ha convinto gli italiani che essi non sono cittadini ma soggetti, di un autoritarismo a malapena mascherato. Aggiungendo disprezzo a ingiuria, la maggioranza dei parlamentari ha ripetutamente sostenuto i disdicevoli risultati di tali azioni. “Il sistema” ha conseguentemente perso credibilità tra la popolazione e poco sorprende che si sia sentita tradita dal processo democratico.

In un paese in cui l’affluenza alle urne è tradizionalmente superiore all’80%, alle elezioni di marzo 2018 il 73% dell’elettorato ha esercitato il proprio diritto democratico. Il 50% a livello nazionale e il 75% al sud ha votato per partiti che non sono considerati “di casta” e che affrontano le istanze più importanti. In Italia come altrove, è decisamente semplicistico – e secondo alcuni, conveniente – etichettare questi partiti col termine “populisti”, inteso in senso denigratorio.

A Napoli, l’affluenza alle ultime elezioni locali (giugno 2016) è stata del 50,37%. Contro partiti tradizionali indeboliti da mancanza di idee e lotte intestine, il sindaco “rovoluzionario arancione” è stato eletto dal 65% di coloro che hanno votato; cio è dal 33% dell’elettorato. La genesi di questa anomalia si fonda su un’altra anomalia, per cui sin dagli scandali di tangentopoli degli anni ‘90 organi giudiziari politicamente impegnati hanno ripetutamente assunto il controllo di un aspetto chiave del processo politico, evirando selettivamente la competizione politica. Molto è stato scritto su questo problema. Come ho sottolineato in un recente saggio (Pardo 2018), Tamar Pitch (1983) ha documentato la politicizzazione esplicita e strategica di una vasta e influente parte della magistratura italiana. Questo progetto fu formalizzato a metà degli anni ‘70 da un gruppo di magistrati di sinistra in netto contrasto con principi costituzionali chiave basati sulla classica separazione del potere in legislativo, esecutivo e giudiziario nella struttura e nella funzione di uno stato democratico (Montesquieu 1989 [1748]). Il loro documento costitutivo proclamava “la non neutralità della legge e della sua amministrazione” (Pitch 1983: 122). Nel tempo, quel gruppo si estese fino a includere, oggi, gran parte della magistratura italiana. Di recente, due di questi magistrati hanno sviluppato un’interessante analisi critica della posizione politica superficiale che ne è alla radice (D’Angelo 2013; Pepino 2012). Ripetuti eventi nella cronaca politica dell’ultimo quarto di secolo suggeriscono quanto questa politicizzazione sia conveniente per una parte potente del sistema politico. Ho ripetutamente indicato, “naturalmente” invano, che gonfiare la corruzione è un gioco corrotto e ad alto rischio. È un gioco che, in democrazia, comporta gravi pericoli che diventano molto reali e molto preoccupanti quando una parte importante della magistratura svolge un ruolo chiave in tale sciagurato gioco incarnando l’interferenza di un potere dello stato democratico nel funzionamento degli altri poteri democratici.

È noto che mentre le indagini giudiziarie incoraggiano lo scandalo ma spesso sfumano nell’assoluzione degli accusati, molte “nuove élite” — spesso sedicicenti pure e immacolate — finiscono poi con l’essere coinvolte in abusi di potere, corruzione e concussione (Pardo 2018). Alcuni evitano il carcere grazie a tecnicismi giudiziari. A Napoli mi è stato fatto notare che “mentre era in carica, il sindaco ha ricevuto una pena detentiva sospesa di 15 mesi per abuso d’ufficio e una forte sanzione per diffamazione. Successivamente è stato sospeso dall’incarico, è ricorso in appello e un mese dopo è stato reintegrato grazie a un tecnicismo”. Mi è anche stato fatto notare che un suo vice ha ricevuto una pena detentiva sospesa di 1 anno per aver aggredito una poliziotta. Anche lui è ancora in carica.

Intellettuali influenti e la maggior parte dei media salutarono gli anni ‘90 come un’era di rinascita illuministica per Napoli, la terza città più grande d’Italia. L’indagine etnografica ha invece rivelato come furono rovinati da un legame molto problematico tra ideologia, politica, società civile e legge. Ho discusso altrove di quel periodo sfortunato per i napoletani (e poi per i loro concittadini campani), che culminò con la famigerata crisi dei rifiuti, le conseguenti malattie polmonari e infettive e decine di decessi (Pardo 2010). Oggi, come negli ultimi 30 anni (Pardo 2012), giorno dopo giorno la città esperisce le conseguenze pratiche di uno stile di governo che è legalmente insediato ma che non gode di fiducia o legittimità nella società più ampia e che risponde sistematicamente agli interessi di determinati gruppi collegati a chi detiene attualmente il potere. Ciò genera, e allo stesso tempo incoraggia, lo svilimento della linea di demarcazione tra ciò che è legale e legittimo e ciò che è legale e illegittimo nella vita pubblica (Pardo 2018). In particolare, si pensi al danno arrecato all’autorevolezza della politica e del governo da azioni che sono convenientemente rese legali attraverso decreti e leggi municipali ad hoc che influenzano profondamente la vita locale.

Può essere utile riassumere alcune ramificazioni di uno stile di governo che i miei informatori, di ogni estrazione sociale che vivono e operano nel centro di Napoli, descrivono come legali ma odiose, ingiuste e illegittime.

Per un pò la fantasia ideologica di governanti locali promotori di una vaga “rivoluzione arancione” ha prodotto risultati elettorali. Col passare del tempo, la loro inefficienza e empatia con posizioni militanti e azioni estremiste hanno sottolineato un’interessante realtà. Sotto il loro controllo, la vita urbana si è distinta per tre, connesse, ragioni. È pericolosa; è inquinata da doppie misure amministrative, immondizia e parassiti; è corrotta da una tattica per il mantenimento del potere fatta di “pane”, “feste” e “forca” (Pardo 2012, 2018).

I commenti degli osservatori locali trovano terreno comune nella denuncia dei legami tra l’attuale governance e gruppi estremisti. Antonio Polito (2018), vicedirettore di un autorevole quotidiano di centro-sinistra, descrive come questi estremisti “siano diventati il suo [del sindaco] partito” e “i suoi guardiani militanti”. Operano, aggiunge Polito, in nome e per conto del sindaco, spesso impegnandosi in violenti scontri con la polizia. A loro volta, sono stati autorizzati a stabilirsi in edifici di proprietà pubblica, come nel caso dell’Asilo Filangieri. Questo edificio di importante valore storico è stato restaurato a spese della pubblica amministrazione per essere poi utilizzato come sede di eventi culturali internazionali. Come diversi edifici simili in città, è stato illegalmente occupato da gruppi radicali, che sono stati successivamente trasformati in occupanti legali attraverso decreti comunali ad hoc (del 25/05/2012, 29/12/2015 e 01/06/2016). Ora i governanti locali sono sotto inchiesta per abuso di ufficio e danni alla borsa pubblica (Postiglione 2017).

Come osservato da Polito e da altri commentatori, a questo caos politico e legale, si aggiungono le dichiarazioni e le azioni di diversi amministratori che sostengono un futuro in stile venezuelano per la loro città e che hanno recentemente partecipato a cortei di protesta per bloccare la visita di un ministro e di diversi politici di rilievo nazionale che a loro non piacciono. Gli intellettuali di sinistra locali sottolineano che la stagione delle manifestazioni violente si è intensificata a partire dal 2017 (Macry 2018), quando il sindaco proclamò che il leader di un partito di centrodestra impegnato nell’espulsione di immigrati clandestini dal paese non doveva parlare a Napoli. Macry ci ricorda della furiosa guerriglia urbana che ne seguì, e dei numerosi dimostranti coi volti coperti e armati con sbarre di ferro che lanciarono bottiglie molotov, pietre e altri missili contro la polizia, ferendo gravemente trenta poliziotti. Azioni simili continuano, purtroppo, a verificarsi.

Intanto, le finanze comunali e il patrimonio municipale continuano a essere mal gestiti in modo che rasenta sapientemente l’insolvenza finanziaria senza tuttavia provocare il dissesto (Lo Cicero 2017, Pollice 2018). Come mi è stato ripetutamente indicato, gran parte di quanto è di responsabilità municipale, versa in condizioni critiche. La superficie stradale urbana è pericolosa, puunteggiata da buche (molte sono ampie e profonde) che da un lato procurano enormi opportunità commerciali per le autorimesse locali e grossi grattacapi alle compagnie assicurative e dall’altro contribuiscono a mettere la salute pubblica a rischio. I dipartimenti di pronto soccorso locali segnalano la presenza quotidiana di ossa rotte e altre lesioni gravi provocate dalla mancata o cattiva manutenzione della pavimentazione pedonale, da pezzi di edifici pubblici che cadono sui pedoni e così via. Lo spazio pubblico continua a produrre visioni medievali di sporcizia e rischio per la salute dei cittadini: spazzatura di ogni tipo sparsa per strade e marciapiedi, ratti, scarafaggi, gatti e cani randagi. Il sistema di trasporto pubblico non solo è gravato da inefficienza, licenziamenti e scioperi ma è pericolosamente vicino al totale collasso finaziario (Del Tufo 2018). Come ha recentemente osservato un leader locale del Partito Democratico, “nel 1997 c’erano 800 autobus, ora ce ne sono 300 e hanno 17 anni, e spesso fuori servizio”. In questa situazione, i fondi dell’Unione Europea per contribuire allo sviluppo di un “sistema di trasporto urbano integrato” sono stati utilizzati per dipingere in tutta la città simboli di biciclette su improbabili scale, strade supertrafficate, marciapiedi, sotto i tavoli all’aperto di bar e ristoranti, sotto i cassonetti per rifiuti e così via.

C’è dell’altro.

Si pensi, ad esempio, alla ricca etnografia sulla cattiva gestione del potere che favorisce le difficili relazioni tra i napoletani e il numero sempre crescente di immigrati; una gestione che contribuisce fortemente a trasformare la tolleranza naturale dei napoletani in sopportazione e, poi, in intolleranza — come conseguenza diretta di istanze inascoltate e problemi irrisolti e incancreniti, (Prato 2009; Pardo 2009: 122-14 e 2020, in pubblicazione). Prendiamo il caso delle autorità locali che chiudono un occhio sulla vendita di immondizia, una pratica che è consolidata da molti anni a Napoli. I residenti devono chiudere i loro rifiuti in sacchetti di plastica che vanno depositati dopo le otto di sera in cassonetti posizionati sul suolo pubblico (di solito sui marciapiedi); i cassonetti vengono svuotati nelle prime ore del mattino. Non è raro vedere gruppi immigrati rovistare in questi cassonetti e estrarre oggetti (principalmente scarpe, borse e abiti) che poi espongono per la vendita su stracci disposti su strade e marciapiedi nei quotidiani mercati dei rifiuti in varie zone del centro. I residenti e i commercianti locali si lamentano, anche formalmente ma finora invano, del fatto che “nonostante i problemi legali e sanitari, questo tipo di commercio non viene contrastato, neanche nel pieno dell’estate”. I negozianti e le loro associazioni hanno presentato esposti dettagliati. Esemplificando le loro rimostranze, uno di loro mi ha detto, “da quando queste persone hanno iniziato questa attività, le vendite sono diminuite del 50% perché la strada è sempre sporca e malsana”. Di fronte all’incapacità delle autorità di agire, gruppi estremisti hanno organizzato attacchi organizzati contro i venditori di rifiuti e, in alcune casi, sono stati affiancati dai residenti. Qualche anno fa, l’amministrazione locale decretò una multa immediata di €500,00 per chiunque fosse stato sorpreso a rovistare nei cassonetti. Per alcuni giorni questo nuovo decreto fu applicato con zelo. Entro 24 ore dalla pubblicazione, furono emesse decine di multe (La Repubblica Napoli, 27 novembre 2014) che non furono pagate in quanto i trasgressori erano ufficialmente indigenti o non potevano essere identificati perché privi di documenti. Questo “fenomeno” continua. Le proteste e la violenza si sono evolute in una forma di vigilantismo semipermanente che rende più ostile una città che, nell’esperienza dei miei informatori e, come notato dall’attuale governatore della Regione, è guastata dall’aumento della violenza di strada e dell’inefficienza.

Queste dinamiche coincidono con i traffici di immigrati clandestini che si osservano numerosi nel centro della città. A questi ambulanti alloctoni pare tacitamente consentito monopolizzare i marciapiedi, i giardini e le piazze del centro, laddove i commercianti autoctoni che hanno regolare licenza vengono pesantemente multati per qualsiasi infrazione — una delle infrazioni più comuni è l’uso di spazio pubblico non assegnato sulla licenza commerciale. Questi trasgressori vengono regolarmente identificati e devono pagare, “a differenza”, come uno di loro ha notato, “dei venditori ambulanti illegali che scappano dalla polizia solo per riapparire quando i poliziotti vanno via, e se vengono presi non pagano l’eventuale multa perché ufficialmente non hanno reddito e spesso neanche documenti di identità”. Un mio giovane informatore che è stato costretto dalla polizia municipale a chiudere la sua bancarella a seguito di multe non pagate (“per mancanza di denaro”) denuncia che “gli immigrati illegali possono vendere ciò che vogliono dove vogliono” e, si chiede, “perché io non posso vendere la mia merce ma loro possono vendere la mia spazzatura?”

A Napoli, come altrove in Italia, la situazione è terribilmente preoccupante:
Il divario tra le élite dominanti e i cittadini ordinari aumenta.
La speranza di un governo autorevole appare, al momento, chimerica.
La crisi di legittimità nella vita pubblica si aggrava.

Lavori Citati
Comune di Napoli. 2014 and 2015. Bollettino di Statistica. Naples: Sistan Sistema Statistico
Nazionale.
D’Angelo, S. 2013. Quell’abbraccio tra PCI e MD che fece scattare Mani pulite. Il Giornale,
29 Novembre: http://www.ilgiornale.it/news/interni/quellabbraccio-pci-e-md-che-fece-scattare-mani-pulite-971544.html
Del Tufo, V. 2018. Napoli, trasporti lacrime e sangue ma nessuno pensa ai cittadini.
Il Mattino, 20 marzo,
http://ilmattino.it/napoli/politica/napoli_trasporti_nessuno_pensa_cittadini_commento_vittorio_del_tufo-3618197.html
Lo Cicero, M. 2017. Conti in rosso al Comune di Napoli. Il Mattino, 7 luglio,
https://www.ilmattino.it/napoli/politica/conti_in_rosso_al_comune_di_napoli_il_purgatorio_del_predissesto_e_l_inferno_che_si_e_spalancato-2561960.html
Macry, P. 2018. Se il fascismo è violenza chi sono i veri fascisti? Il Mattino, 24 febbraio.
http://ilmattino.it/primopiano/cronaca/se_il_fascismo_e_violenza_chi_sono_i_veri_fascisti-3567685.html.
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