E’ il 1773. Ferdinando IV di Borbone è stanco degli intrighi della corte reale casertana e sceglie le colline intorno al parco della Reggia per costruirsi il suo buen retiro, lì dove sorgeva un antico casino di caccia, un luogo solitario dove trascorrere il suo tempo. Vi trascorre brevi periodi, mentre per il resto del tempo esso è abitato dai custodi e dalle loro famiglie. Nel 1778 il re è colpito da una immane tragedia: il suo primogenito, Carlo Tito, morì di vaiolo. Devastato da quel dolore il re decide di erigere un ospizio per i poveri ed istituirvi un opificio serico che desse loro lavoro e dignità.
La colonia si espande rapidamente, la perizia tecnica degli operai è sempre più rinomata, tutto è eccellenza, dal filo ricavato dal baco da seta alla tessitura e rifinitura, i giovani sono inviati in Francia ad apprendere l’arte della tessitura, le commesse arrivano da ogni parte d’Europa e le sete di San Leucio vanno ad abbellire le più prestigiose dimore.
Fu così che in quello stesso anno nacque una comunità nota come Real Colonia di San Leucio. Alle maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi, piemontesi e messinesi che si stabilirono a San Leucio richiamati dalle condizioni di vita, decisamente migliori che altrove, in cui vivevano gli operai delle seterie.
Ferdinando aveva infatti promulgato il cosiddetto Codice leuciano, un insieme di norme che regolamentavano ogni aspetto della vita presso il Real Sito, frutto del dispotismo illuminato che caratterizzò la corte borbonica napoletana fino alla Rivoluzione francese. Il testo era espressione di ideali di uguaglianza sociale ed economica che prevedevano uguali diritti per uomini e donne, istruzione, case dotate di servizi igienici, ma anche regole che disciplinavano gli aspetti privati della vita dei coloni, con attenzione alla condizione degli orfani e delle vedove, con premi destinati alla produttività degli operai. Le nozze, ad esempio, si celebravano il giorno di Pentecoste: a ogni coppia era assegnato un mazzo di rose, bianche per gli uomini e rosa per le donne, fuori la chiesa li aspettavano gli anziani del villaggio, di fronte ai quali le coppie si scambiavano i mazzi di fiori come promessa di matrimonio.
Il progetto di Ferdinando IV è ambizioso, egli immagina un’ulteriore espansione della colonia, fino a dare vita ad una nuova città da chiamare Ferdinandopoli. Il progetto non riesce, ma il codice venne applicato con successo alla vita della comunità che crebbe prosperosa.
Il Museo della Seta
Oggi a San Leucio, all’interno della fabbrica originaria del re Ferdinando, ha oggi sede il “Museo della seta” che conserva alcuni macchinari originali, ancora funzionanti, per la lavorazione della seta che mostrano tutte le fasi della produzione con gli antichi telai restaurati ed azionati da una ruota idraulica posta nei sotterranei del palazzo. La visita è piena di fascino, un vero viaggio nel tempo che parla del glorioso passato di questo luogo dove sono stati realizzati prodotti di meravigliosa fattura che hanno impreziosito luoghi come il Vaticano, la Casa Bianca, Buckingham Palace. Gli appartamenti storici, arredati con suppellettili provenienti dalla Reggia di Caserta raccontano i fasti e la bellezza di questo luogo, gli abiti d’epoca, le sale affrescate, il Bagno di Carolina con l’enorme vasca in marmo di Carrara, valgono la visita.
Il Setificio Leuciano, il presente
Nel tempo la crisi economica, la rivoluzione tecnologica, le scelte manageriali, hanno via via impoverito il sito e l’industria serica ha perso l’importanza di un tempo. Le fabbriche hanno chiuso, molti operai hanno conosciuto licenziamenti e cassa integrazione. Il rischio di perdere una tale eccellenza è stato concreto. Poi la svolta, la rinascita. Il Setificio Leuciano ha raccolto la sfida: recuperare la tradizione, rinnovandola e adattandola ai tempi. Una rivoluzione culturale prima ancora che industriale.
Incontriamo Daniela Dattero e Rosaria Letizia, le giovani imprenditrici responsabili del Setificio Leuciano nei locali dello show room. Ci mostrano con orgoglio le sete, i broccati, i damaschi e i jacquard che riempiono di luce e colori gli ambienti, ci parlano di una tradizione che si rinnova, della fierezza di portare avanti un pezzo di storia del territorio non abbastanza valorizzato. La visita alla fabbrica nuova è particolarmente emozionante, è vivissima la sensazione della prosecuzione dell’antico, dei macchinari che si rinnovano, le tecniche che si evolvono, con lo sguardo rivolto al futuro, ma i piedi ben piantati nella tradizione. Emilio di Giacomo è un addetto alla tessitura. Ha 48 anni. La prima volta che ha messo piede in fabbrica ne aveva 6, accompagnava suo padre che lavorava nelle seterie. Il padre gli ha insegnato l’amore per questo lavoro, la dedizione, l’attenzione. La passione. Il lavoro senza guardare l’orologio, la fabbrica come una parte di sé. L’appartenenza. Ci racconta il suo lavoro, la pazienza che richiede, gli anni necessari per apprendere ogni segreto delle macchine, per riconoscere i filati, i difetti della tessitura, per realizzare un prodotto perfetto, di cui andare fieri. E’ questo che ci trasmette più di ogni altra cosa Emilio, l’orgoglio di vedere il prodotto realizzato, l’eccellenza, sentirsi parte di qualcosa di molto grande, di una tradizione antica e moderna insieme.
I giovani, il futuro
Emilio ha un figlio, ha 14 anni, troppo pesto per immaginare un futuro professionale qui o lontano da qui. Ma è di giovani come lui che questo patrimonio ha bisogno per non estinguersi, per continuare a vivere e rinnovarsi. I giovani, tramite progetti mirati della scuola, hanno ricominciato a formarsi, ad interessarsi a questo lavoro appassionante, ma faticoso, che richiede piena dedizione, precisione assoluta. Se ci crederanno e si saprà investire in termini economici e di sapere tutto questo non finirà e il futuro delle seterie e con esse del territorio potrà essere degno del meraviglioso passato.