Le regioni: istituzioni da cancellare perchè superflue, costose, pericolose

Nelle Regioni ordinarie, con il loro sostanziale fallimento istituzionale e politico, dal 1970 fino alla sciagurata riforma costituzionale del 2001, cosiddetta federalista, la classe politica, anche inseguendo i pazzi che volevano distruggere l’unità nazionale, ha ingrossato le competenze regionali, così creando degli staterelli di stampo preunitario. Rarissime in Italia sono le riforme per soppressione, mentre hanno successo le riforme per accrescimento. Di un ufficio, di un organo, di un ente, riformandoli se ne fanno due o gli si cambia il nome.

Quanto allo Stato, le Regioni non lo hanno decentrato affatto. O, meglio, lo hanno decentrato in senso geografico, non in senso proprio. Tant’è che a Roma si sono aggiunte venti simil capitali che scimmiottano in tutto e per tutto la vera capitale. L’istituzione regionale ha un parlamento che si chiama consiglio, un governo che si chiama giunta, e un presidente che non a caso chiamano governatore. Lo status dei consiglieri, a parte le autorizzazioni per gli atti delle inchieste penali, è sostanzialmente identico ai parlamentari, comprese le indennità, che talvolta sono addirittura superiori. In alcune Regioni hanno perfino inventato i sottosegretari di giunta (sic!) allo scopo di disporre di una prebenda in più. Le Regioni possiedono, poi, sedi distaccate a Roma, Bruxelles, e in altre importanti città del mondo. Uffici che scimmiottano le ambasciate.

Circa la spesa pubblica, il fallimento è, se possibile, ancor più evidente. Il costo complessivo dell’istituzione in sé e della spesa indotta ha generato uscite finanziarie ingiustificabili per quantità e qualità, senza reali benefici altrimenti non conseguibili. Le Regioni non hanno ridotto la spesa pubblica, ma contribuito sostanziosamente ad espanderla, accumulando a loro volta, sul pessimo esempio dello Stato, un debito enorme, a petto dei miliardi che annualmente passano nelle loro mani. Se ciò non bastasse, le Regioni sono uno dei più potenti fattori discriminanti tra cittadini. Hanno dato l’ennesimo colpo di maglio all’uguaglianza degl’Italiani davanti alla legge. Lo sanno bene i contribuenti, in generale, e gli agricoltori ed i malati, in particolare. Per colpa delle Regioni e delle loro dissipazioni, tutti versano crescenti addizionali delle imposte sul reddito, sicchè il cittadino paga due tributi, l’uno con aliquota nazionale, l’altro con aliquota regionale discriminata e discriminante a parità di reddito.

Riguardo allo snellimento burocratico, tutti sanno come stanno le cose. Il presidente del Consiglio, una recluta su questo fronte, ha posto la lotta alla burocrazia in cima alle priorità del governo. Come non essere d’accordo? I ministeri regionali si sono aggiunti ai ministeri centrali. Impiegati ed apparati non sono diminuiti ma aumentati. Le procedure non sono né più semplici né più veloci. Le Regioni non sono meno impermeabili dello Stato alle corruttele, ai favoreggiamenti, agli interessi privati. Solo la stupidità può immaginare di sconfiggere il burocratismo con le armi della burocrazia. In Italia, questa specifica forma di stupidità non soffre crisi. Sono decenni, infatti, che possediamo un ministero per riformare i ministeri! Chi avesse l’immodestia di rivolgersi alla capacissima ministra Madia, le dovrebbe dire: “Vuole davvero riformare la burocrazia? Incominci abrogando il suo ministero”.

Fatta questa premessa, incontestabile seppure incompleta, devo rispondere a quei generosi lettori che mi hanno obiettato: “Sì, hai ragione, ma le Regioni non si possono abolire. Come si fa? Ormai sono radicate, non nel cuore dei cittadini, ma nel portafoglio degl’interessi particolari, politici e no. E’ impossibile”. E rispondo così: “No, non è impossibile. E’ indispensabile. Dobbiamo farlo anche se spiace a quei pochi lì”. Ho anche una mia proposta, un’idea soltanto abbozzata. Ed è questa. Innanzitutto, cancellare le elezioni, i consigli, gli assessorati, i governatori. Poi, considerando che, grosso modo, la spesa regionale è fatta in massima parte di sanità e in minor parte di agricoltura (il resto è poco e vario), in ogni regione potrebbe essere nominato, se volete dal Parlamento o da chi vorrete, un manager che, a somiglianza di un Marchionne, dirigesse la sanità e ne rispondesse. Verrebbero sbaraccate pure le Asl e gli annessi e connessi. Idem per il manager dell’agricoltura, tenuto presente che la politica agricola viene decisa dall’UE e le Regioni agiscono principalmente per l’attuazione delle linee comunitarie. Tutto il resto delle competenze regionali verrebbe distribuito tra lo Stato, i Comuni ed altri specifici enti, in ragione delle affinità e delle funzioni.

Chi dice che le Regioni ormai non si possono più sopprimere perché sono consolidate, dimentica che nessuno avrebbe mai immaginato che persino il re di Francia potesse finire ghigliottinato. Eppure accadde. Tuttavia non auspico affatto rivoluzioni e violenze, che aborro, ma un potente moto politico che divenga forte abbastanza da premere sulla maggioranza parlamentare spingendola ad abolire le Regioni, realizzando così una vera riforma: utile, economica, efficace, e contribuendo nei fatti a risollevare la nazione agonizzante. Questo auspicio era un mio solitario pio desiderio soltanto pochi anni fa. Adesso non più né pio né solitario. Persino tra i più corrivi regionalisti e tra i sedicenti federalisti il dubbio di aver preso una cantonata s’è fatto strada. Milioni di elettori, davanti al deprimente spettacolo regionale, capiscono ormai d’essere stati ingannati e già mostrano il loro disgusto disertando le urne. Aspettano leader politici decisi a guidarli nell’impresa a portata di mano.

di Pietro Di Muccio de Quattro
Comitato Scientifico Società Libera.