Le provocazioni possono presentarsi in forma subdola e causare l’effetto contrario a quello desiderato

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Per quanti, per un motivo qualsiasi, non hanno avuto modo di seguire le notizie degli ultimi giorni, è il caso di fare un breve flashback, in particolare su quanto sta producendo la giustizia italiana. Più precisamente e per brevità basterà soffermarsi anche per sommi capi su quanto ha stabilito un tribunale del Lazio in merito a un omicidio, meglio a un’esecuzione sommaria che definire truce non rende il concetto. Essa fu compiuta da due scarti della società i quali, fin dalla nascita, di umano hanno continuato a avere meno che niente. È doveroso fare tale precisazione perché, se per un animale qualsiasi resosi colpevole di aver aggredito uno o più esseri umani non si esita a disporre che venga abbattuto, per due figuri che hanno aggiunto al loro palmares l’aver trucidato senza alcun motivo che non fosse un pretesto, un giovane completamente digiuno dei rudimenti delle arti marziali, in cui invece eccellono i suoi carnefici. Volendo portare all’estremo il paragone con il mondo che vede, loro malgrado, protagonisti indiscussi gli animali, uno o più cacciatori possono sparare a una preda facile per nessun’ altro motivo se non quello di vederla soffrire e morire. L’episodio che dovrebbe fare aprire ancor di più gli occhi agli italiani riguarda quella corte giudicante – definirla di giustizia sarebbe troppo – che ha ridotto dall’ergastolo a ventiquattro anni di prigione la pena già inflitta ai due umanoidi prima descritti. Considerazione di un Coltivatore Diretto seduto al fresco ai margini dell’ aia, sotto un albero di noci. Un tempo, quando in una masseria un cane avesse avuto l’ ardire di rubare un pollo, era condannato irrimediabilmente alla fucilazione. Un vero uomo dei campi non poteva non possedere almeno uno schioppo, seppure a avancarica, pervenutogli dall’ avo che aveva combattuto la Grande Guerra. Da tempo si ripete sempre meno che un cane si sostituisca alla volpe a fare razzia di polli. Se però dovesse succedere, al più l’intemperante quadrupede riceverebbe qualche calcio. Continuando, il narratore rustico aggiungeva che gli sembrava quasi assurdo che i giudici di grado superiore ai primi competenti, avessero smentito l’operato di questi ultimi e, tolto l’ergastolo, avessero ridimensionato la condanna a ventiquattro anni di carcere. Non sarà sfuggito a nessuno che un provvedimento del genere avrà già iniziato a far ronzare nelle meningi dei difensori di quegli omuncoli peraltro malriusciti, di iniziare a preparare, per quando se ne fosse palesata l’opportunità, una richiesta di riduzione della pena, per motivi ancora tutti da inventare e mettere insieme. Summum jus, summa injuria, era una delle preposizioni contenute nel Codice di Giustiniano, quando nell’Impero Romano così come si stava ridimensionando, la giustizia basata su presupposti sempre più oggettivi e sempre meno sull’intuitu personae, era adita in maniera crescente per dirimere ogni genere di controversia. Tacciare di dubbia sensibilità quella corte attuale e disinvolta, soprattutto nei confronti dei genitori della vittima, è il giudizio più benevolo che certamente sta esprimendo l’opinione pubblica. Non sono mancati, né appresso mancheranno, i raffronti del loro atteggiamento con il comportamento di tali persone che hanno reagito al loro comportamento con una dignità non comune. Fin qui i fatti, ora qualche considerazione a ruota libera, depurata di ogni timore reverenziale. Non deve sembrare scorretto rispondere a una provocazione con l’adozione di un comportamento analogo. A ogni buon conto, la sua messa in atto allo scopo di dimostrare la presunta inattaccabilità di quell’organo giudicante, potrebbe essersi ispirata alla regola in uso fino a qualche secolo fa, soprattutto nei paesi di cultura anglosassone: “mio il castello, mie le regole”. L’ augurio è che tanto sia solo frutto di un’ ondata emozionale di una popolazione, quella italiana, che sta vivendo giorni di tensione alimentati da troppe vicissitudini che si sono implementate quasi contemporaneamente. Sarebbe fin troppo semplice accantonare quanto sta accadendo nei tribunali tra le notizie secondarie. Che situazioni di questo genere debbano dare la precedenza a ciò che accade nel mondo, per essere così derubricate a fatti di cronaca è più che oltraggioso per una nazione come l’Italia, considerata universalmente e a ragione la patria del diritto. La conseguenza più evidente e dannosa per il buon funzionamento della macchina statale, continua con un comportamento delle toghe ancora più inquietante: evitare ogni tipo di contraddittorio con l’esecutivo, alla maniera dei bambini dispettosi. Lo stato in cui oggi langue la questione della giustizia del Paese è che, di quanti progetti sono stati licenziati dal Parlamento per adeguare il potere giudiziario alle esigenze della società italiana dell’inizio del terzo millennio, non uno è andato in porto. Intanto la nave Italia procede nella navigazione e è sempre più concreto il rischio di collisione con un iceberg, del genere di quelli che ancora non hanno fatto capire quali siano le loro reali dimensioni. Più correttamente, quello di cui è stato fatto cenno, ha dato chiari segnali di non essere di dimensioni contenute, morfologicamente simile, in tutto e per tutto, a un grande scoglio naturale: che di più?