Le pensioni povere di questi  giovani a remunerazione “povera” in età lavorativa

L’Analisi dell’Ufficio Politiche previdenziali CGIL nazionale, intitolata: Giovani, il traguardo pensionistico sempre più lontano, del 6 febbraio 2024 scorso (qui), che si presenta  succinta, ma molto nutrita di argomentazioni interessanti, è stata coordinata da Ezio Cigna, Responsabile politiche previdenziali CGIL nazionale e, ripresa e commentata, da Massimiliano Jattoni Dall’Asén del Corriere della Sera, il 7 febbraio successivo, nell’articolo utilmente paragrafato, Le pensioni «bruciate» dei giovani: poveri in età lavorativa, ancor più poveri dopo. Le simulazioni” (qui

Secondo i calcoli fatti dalla Cgil, per le nuove generazioni il traguardo pensionistico è sempre più lontano: «Con questo sistema sono lavoratori poveri e saranno pensionati ancora più poveri». E poi c’è il paradosso di chi paga per le pensioni dei più ricchi.

Italia peggio che Francia e Germania

“Secondo i dati Istat, i salari negli ultimi due anni sono cresciuti nel 2023 del 3,1% rispetto all’anno precedente (ma nel 2022 erano cresciuti solo del 1,1%). Troppo poco. E così, nel confronto con l’Europa, l’Italia ne esce male con l’evidente criticità di un sistema Paese che remunera poco il lavoro in confronto a Francia o Germania. Un fenomeno di bassi salari ulteriormente acuito dall’inflazione. E se gli stipendi crescono poco in media per tutti i settori e le fasce di età, è indubbio che a pagarne il prezzo più salato sono i giovani. Le nuove generazioni, infatti, sono le più penalizzate perché, come sappiamo, gli under 35 sono coloro che fanno più fatica a entrare nel mercato del lavoro e quando ci riescono si ritrovano troppo spesso con contratti atipici o a tempo determinato, che vogliono irrimediabilmente dire salari bassi.”

Le decisioni prese dal governo Meloni

A questa situazione cronica, però, si aggiungono le scelte nell’ultima legge di Bilancio. L’accusa è della Cgil che evidenzia come i giovani, ma anche tutti coloro che hanno versato il primo contributo dopo il 01.01.1996, siano penalizzati con il sistema previdenziale contributivo, che prevede un accesso al pensionamento anticipato solo laddove si perfezioni un importo minimo di pensione. Come spiega l’esperto di welfare e responsabile politiche previdenziali della Cgil, Ezio Cigna, «proprio la legge Monti-Fornero dal 2012 aveva previsto il superamento della riforma Dini (pensione di vecchiaia per tutti coloro che avrebbero perfezionato almeno 5 anni di contribuzione, 57 anni di età e 1,2 volte l’assegno sociale), con un’uscita anticipata a 64 anni con 20 anni di contribuzione e il perfezionamento del 2,8 volte l’assegno sociale o la massima anzianità contributiva (42 anni e 10 mesi, uno in meno per le donne). La pensione di vecchiaia allora con 67 anni e l’importo soglia dell’1,5 volte l’assegno sociale, oppure a 71 anni a prescindere dall’età (tutti requisiti di età legati all’attesa di vita)».

La neutralità dei criteri non significa equità

«Ricordiamo che il metodo contributivo si basa su criteri di rigida “neutralità attuariale” fra i contributi pagati durante l’intera carriera e le prestazioni che si riceveranno da anziani», prosegue Ezio Cigna, «garantendo uniformità dei rendimenti sui contributi versati, indipendentemente dalla storia lavorativa. Ma l’equità e la neutralità, da molti confuse nel sistema contributivo, non tengono assolutamente conto di qualsiasi forma di solidarietà o redistribuzione, anzi, considerando l’impianto attuale vi è il rischio concreto che i più deboli e fragili nel mercato del lavoro, faranno solidarietà a coloro che hanno magari lavorato meno ma con alti salari».

Le variabili inflazione e Pil4 di 10

E poi c’è il problema inflazione. «Nel sistema contributivo, al contrario di quello retributivo, in caso di inflazione, non aumenta la quota di pensione, mentre come sappiamo nel sistema retributivo l’inflazione determina un aumento delle retribuzioni medie prese a riferimento per il calcolo della pensione», spiega ancora Ezio Cigna. Una rivalutazione del montante contributivo, e quindi della relativa quota contributiva di pensione, può essere determinata solo dal Pil, o meglio dal tasso di capitalizzazione, la media quinquennale del Pil nominale. 
Ai fini della rivalutazione dei montanti contributivi relativamente all’anno 2023, il valore del tasso annuo di capitalizzazione risulta pari a 0,023082 e, pertanto, il coefficiente di rivalutazione è di 1,023082 (23 euro ogni 1.000 euro di montante). «Mentre, per l’anno prima, il tasso medio annuo composto di variazione del prodotto interno lordo nominale, nei cinque anni precedenti il 2022, risulta pari a 0,009973 e, pertanto, il coefficiente di rivalutazione è pari a 1,009973 (9 euro ogni 1.000 euro di montante)», conclude Cigna.

Giovani, salari e pensioni

Per comprendere gli effetti reali sul traguardo pensionistico delle nuove generazioni, la prima cosa che utile da confrontare è la percentuale di crescita dei salari nel 2023 e 2024, rispetto all’importo soglia da raggiungere per accedere al pensionamento nel sistema contributivo. Come si vede nella tabella A, qui sotto riportata, se i salari nel biennio crescono del 4,4%, l’importo da assumere a riferimento per la pensione nel sistema contributivo (assegno sociale) cresce del 13,5% nel medesimo biennio, con una differenza del 9,1%. «Questo effetto ha delle conseguenze enormi sul traguardo pensionistico dei giovani», spiega ancora Ezio Cigna. «Generazioni che si trovano a essere povere durante l’età lavorativa, perché perdono in media almeno il 9% di potere di acquisto, ma più povere anche sulla pensione».

Ormai impossibile la pensione anticipata per i giovani

Secondo l’esperto welfare della Cgil, Ezio Cigna, quanto illustrato nella scheda precedente viene ulteriormente peggiorato dalla decisione del governo Meloni «di innalzare ancora di più l’asticella della pensione anticipata, portandola a 3 volte l’importo dell’assegno sociale, sempre con 64 anni di età e almeno 20 anni di contributi». Ma non finisce qui. Dal primo gennaio di quest’anno, «si applicheranno le finestre per l’uscita, il tetto massimo per il pagamento e i 20 anni di contributi saranno legati all’attesa di vita. Si tratta», taglia corto Cigna, «di un intervento forte contro i giovani, che si ritrovano un futuro sempre più povero». Se si guarda la tabella B, qui sotto riportata, i requisiti di accesso al pensionamento a 64 anni cambiano radicalmente. «Se nel 2022 bastavano 1.309,42 per accedere al pensionamento anticipato, adesso ne serviranno 1.603,23, con una differenza nel biennio pari a 293.81, il 22,4% in più», spiega Cigna.

Attenzione: per le donne è possibile ridurre l’importo soglia a 2,8 volte l’assegno sociale nel caso di un figlio (1.496,35 euro) e a 2,6 volte nel caso di almeno due figli (1.389,47 euro).

A Flourish table

I contributi che servirebbero ai giovani  per recuperare il biennio

Ma quanti contributi servono in più ai giovani solo per recuperare questo biennio? Per determinare un aumento della pensione contributiva di 293,81 euro bisogna considerare il coefficiente di trasformazione in vigore attualmente a 64 anni, pari a 5,184. Secondo i calcoli della Cgil «sarebbero necessari 74 mila euro di contributi». Ma se consideriamo l’aliquota previdenziale al 33%, «per accantonare tale importo di contributi bisognerebbe avere retribuzioni pari a 224.500 euro». Dal 2024, per perfezionare il nuovo requisito (dal 2024, almeno 3 volte l’assegno sociale, pari a 1.603,23 euro) «bisognerà raggiungere un montante contributivo pari a 402.500 euro, una cifra impossibile da raggiungere per la maggioranza dei giovani (+ 74 mila euro)».

Chi potrà andare in pensione anticipata e chi no: due esempi

In conclusione, l’attuale sistema penalizza i giovani e più in generale i più poveri. Dunque, per la Cgil il sistema è ingiusto e, per dimostralo, ha simulato il conteggio di pensione per due soggetti che hanno condizioni di lavoro e probabilmente di vita totalmente diverse: un lavoratore con una retribuzione di 5 mila euro lordi per 12 mesi e una lavoratrice delle pulizie con part time quotidiano a  6 ore e con retribuzione di 600 euro al mese per 13 mesi.
Primo caso: il lavoratore, con 5.000 euro di retribuzione mensile, 60.000 annui, e che ha lavorato per 20 anni, ha accantonato una pensione a 64 anni pari a 1.620 euro. Dunque, può andare in pensione anticipata.
Secondo caso: la donna delle pulizie, avendo una retribuzione lorda di 600 euro al mese, 7.800 annui, matura una pensione di 440 euro lorde. Dunque,  non potrà accedere alla pensione anticipata a 64 anni. «La signora non potrà nemmeno accedere alla pensione di vecchiaia a 67 anni e 20 anni di contribuzione», spiega Ezio Cigna, «visto che non riuscirebbe a maturare nemmeno la soglia prevista nell’ultima legge di Bilancio, che prevede una volta l’assegno sociale (per il 2024 pari a 534 euro). Non potrà nemmeno accedere prima al pensionamento anticipato per l’anzianità contributiva versata (41anni e 10 mesi) in quanto avendo una retribuzione inferiore al minimale annuo (nel 2024 12.451 euro circa), ogni anno anziché accantonare 52 settimane (un anno di lavoro) ne accantona 33, ovvero 19 in meno degli altri lavoratori con retribuzioni più alte». Di fatto, la donna delle pulizie sarà costretta a pensionarsi a 71 anni, «ma, sappiamo bene che questo requisito, come gli altri, è legato all’attesa di vita e che quindi  quasi sicuramente crescerà», commenta Cigna. 

Il paradosso dei poveri che pagano le pensioni dei più ricchi

Ma nel caso della lavoratrice part time decritta nella scheda precedente, c’è una chiosa grottesca e paradossale. «Andando in pensione tardi e avendo svolto un lavoro gravoso, i dati ci dicono che potrebbe avere un’attesa di vita più bassa della media», spiega Ezio Cigna. La conseguenza? «Non riuscirà nemmeno a riavere totalmente la contribuzione versata e accantonata, che così andrà a chi magari ha avuto un lavoro meno gravoso o ha lavorato pochi anni, ma con un salario più elevato».

TESTI di Ezio Cigna, Responsabile politiche previdenziali CGIL nazionale, ripresi e commentati,  da  Massimiliano Jattoni Dall’Asén, del Corriere della Sera