Le dimissioni di Boris Johnson, ultima conseguenza della Brexit

in foto Boris Johnson (Imagoeconomica)

I sudditi di Sua Maestà Britannica e gli osservatori di ciò che accade oltre Manica saranno rimasti interdetti non poco per quanto è successo all’ interno del governo inglese, probabilmente più per come si sia articolato che per la sostanza stessa dell’evento. Secondo gli storici, le dimissioni in massa appena rassegnate da molti degli inquilini di Westminster e dello stesso Primo Ministro è un unicum. Il fatto, oltre alla rilevanza intrinseca, avrà ripercussioni notevoli nei rapporti esterni di quel paese, soprattutto con gli ex coinquilini della casa comune. Tanto ancor più per la particolarità del momento attuale. Vale soprattutto per il mutamento degli assetti in corso a causa di quanto sta accadendo in Ucraina e dintorni. Il problema che la governance britannica sta scontando e non in maniera lieve, ricade nel novero delle conseguenze della scellerata, l’aggettivo deve intendersi sottolineato, scelta della Brexit. È pur vero che il detto in uso nel villaggio recita che “chi è causa del suo mal pianga se stesso”, al quale i lavoratori dei campi aggiungono “purché non faccia piangere chi ha che fare con lui”. Ripercussioni fino a ottobre, quando si perfezioneranno quelle dimissioni, ce ne saranno, né poche, né di poco conto e non rimarranno nei confini di quell’Isola. Alle volte il caso: il regista Luchino Visconti, per il suo film La caduta degli Dei, uscito nelle sale cinematografiche alla fine degli anni ’60, ambientato nella Germania a cavallo degli ultimi secoli del secondo millennio, si ispirò, oltre che all’opera di Richard Wagner, soprattutto alla tragedia Macbeth di William Shakespeare, inglese a prova di bomba. Un particolare: il titolo originale dell’opera di Wagner, di cui lui stesso scrisse il libretto, è usato, in tedesco e latu senso, per indicare una sciagura, anche la fine del mondo. Rimanendo nell’ empireo che fu di celluloide, sicuramente con appigli più concreti a quanto sta succedendo ora all’inquilino in fase di trasloco del numero 10 di Downing Street, Boris Johnson, può essere interessante fare qualche collegamento con pellicole che vedono protagonisti un precedente inquilino di quello stabile, Sir Winston Churchill e il padre della attuale Regina, Re Giorgio VI. Vorrebbe servire, tale confronto, per mettere in evidenza cosa è stato e cosa è quello che fu uno degli imperi piu potenti che il mondo abbia conosciuto dopo quello romano. Ne Il giorno più lungo, Churchill viene raffigurato come l’unico stratega di quel paese in grado di prendere di petto l’avversario nazista. La sua impostazione liberale a tutto tondo non vacilla mai, portandolo a decidere con freddezza anche se talvolta essa sarà potuta sembrare veemenza. C’è di più: non sfugge il confronto con il popolo, nè il suo giudizio: la scena all’interno della metropolitana illustra completamente tali osservazioni. Ciò che ancor più fa capire quanto fosse potente quell’Impero ancora alla metà del secolo scorso è la scena del discorso del Re nel film dallo stesso titolo. Giorgio VI si appresta a fare un comunicato via radio, che oggi sarebbe definito “a reti unificate”, a tutti i suoi sudditi, ovunque essi si trovino. La mitica BBC allerta le sue stazioni in tutti i possedimenti inglesi e il Re comincia a parlare. A questo punto la regia sposta l’obiettivo della macchina da presa, in sequenza, su molti di quegli estemporanei “gruppi di ascolto”, composto ciascuno dalle etnie locali, quindi vestiti ti secondo le proprie usanze. Tutti ascoltano assorti, perchè ognuno di loro si sente inglese, fedele al proprio Sovrano. Tale era l’Impero di Sua Maestà Britannica, unico a potersi confrontare con quella che fu all’inizio della sua civilizzazione, la nuova patria dei coloni provenienti da questa parte dell’oceano: l’ America, compreso il Canada. Anche se l’acqua che è passata non fa girare mulini, non sarebbe male se Johnson o chi per lui riprendessero in mano un libro di storia patria e cercassero di individuare almeno alcune delle cause che hanno portato la loro Isola a staccarsi anche dal punto di vista relazionale dal resto del mondo.Tanto vale ancor più per la situazione economica, che è in caduta libera da prima della comparsa della Pandemia. Succede così che tra gli effetti che definire negativi è poco della Brexit, essa faccia sentire amplicati quelli causati dall’invasione dell’Ucraina.Perso lo scdi udo protettivo della EU e della BCE, la City si trova a dover far fronte a una perdita di valore della sterlina come non succedeva dall’ ultima guerra. Volendo fare un raffronto prendendo spunto dalla trama del film Sleeding Doors, sarebbe interessante fare una comparazione, seppure immaginaria, su quanto è effettivamente successo e quanto sarebbe potuto accadere se Londra avesse deciso di inserirsi fin dal primo momento nell’ Eurozona,adottando l’euro in sostituzione della sterlina. Si entrerebbe comunque in un ginepraio inestricabile e una risposta certa al quesito, anche mettendo in piedi simulazioni piu che sofisticate, non si potrebbe mai ottenere. C’è pero un aspetto inconfutabile di questa ipotesi: se fosse successo quanto appena scritto, l’area di utilizzo dell’euro sarebbe stata decisamente più grande. Come naturale conseguenza la forza di quella valuta sarebbe arrivata quasi certamente a detenere il primato mondiale.
Quel che è fatto, è fatto e cosa fatta capo ha. Non pertanto l’Inghilterra ora potrà ritirarsi in dignitosa apartheid, come più volte ha già fatto in passato. Nè l’Occidente può permettersi, soprattutto ora come ora, che un pezzo del mosaico che lo compone si deteriori completamente. Del resto, succede anche tra gli animali del branco che, se uno di essi si ferisce, gli altri capi cercano di difenderlo per quanto riesca loro possibile. Molte volte l’intervento di quelle bestie funziona. Non tocca la stessa sorte, nel caso decidessero di attivarsi, a quelli che reggono le sorti del mondo: sarà perciò che le bianche scogliere di Dover attualmente sembrano più lontane da Le Havre.