di Achille Flora*
Nei discorsi programmatici di Mario Draghi a Camera e Senato, tra i diversi punti trattati, è emersa in modo trasversale, la necessità e l’urgenza della riforma della Pubblica Amministrazione (P.A.).
Un proposito certamente giusto, poiché – la sua efficienza ed efficacia – e il rispetto della tempistica d’impegno e spesa del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dipenderanno dal funzionamento della Pubblica Amministrazione.
I rimedi che Draghi ha indicato sono essenzialmente due: a) investimenti in connettività, da perseguire realizzando piattaforme efficienti e facilmente utilizzabili dai cittadini; b) aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici, anche attraverso assunzioni selettive, per individuare le migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza sottoporre i candidati a lunghissime attese.
Indubbiamente, tali rimedi sono fondamentali perché agiscono sulle necessità di velocizzare sia l’accesso della cittadinanza alla P. A., sia nel migliorare la qualità del personale addetto. Qualche dubbio può però sorgere sul fatto che tali provvedimenti basteranno per cambiare la Pubblica Amministrazione, tanto da renderla uno strumento favorevole e coerente nell’attuazione dei processi di cambiamento e sviluppo dell’economia italiana.
Su questo tema è intervenuto S. Cassese, professore emerito di Diritto Amministrativo in cui è considerato uno dei maggiori esperti, con un’intervista rilasciata all’istituto Bruno Leoni. Cassesse, nell’esaminare le cause della bassa qualità della nostra P. A., le distingue tra esterne ed interne. Per quelle interne la sua posizione è coerente con i provvedimenti annunciati da Draghi: la bassa qualità della P. A. è determinata dalla bassa qualità dei suoi addetti, poiché, tra loro, solo un terzo ha un titolo di studio universitario. L’analisi di Cassese va, però, oltre a quella enunciata da Draghi, poiché non si limita alle cause interne, ma esamina anche quelle esterne. Tra queste, un ruolo fondamentale lo assolve la politica che si manifesta attraverso il Parlamento, cui imputa un eccesso di legiferazione e di attribuzione di responsabilità, oltre che nella sua adozione di controlli preventivi, anziché successivi, che concorrono a rallentare i processi decisionali.
Il suo maggiore atto di accusa è nei confronti della politica, è evidenziato dal cosiddetto “Spoil System”, ossia in una pratica politica importata dagli USA, in cui, i vertici della P. A. sono sostituiti quando interviene un cambio di governo. L’idea alla base di questo sistema è che la politica debba instaurare un rapporto fiduciario con la dirigenza della P.A. affinché i suoi orientamenti e deliberazioni siano attuati e resi concreti. Un sistema che, nel privilegiare il rapporto fiduciario, entra in contraddizione con il requisito di neutralità della P. A.
Di là dei dibattiti e sentenze giuridiche controverse su questo tema, Cassese imputa a questo sistema il concorrere ad abbassare la qualità della P. A. poiché, questo sistema si riflette, inevitabilmente, sui gradi inferiori della dirigenza amministrativa, violando il principio di neutralità della P. A. Inoltre, una sua applicazione distorta può portare ad applicare un principio clientelare, secondo cui non si scelgono dirigenti e addetti in base alla loro qualificazione tecnica, bensì in base al loro livello di fedeltà politica.
Non sappiamo se Draghi toccherà questo nodo arduo, che è quello su cui nelle istituzioni regionali si manifesta il potere dei Presidenti, in particolare nella sanità regionale, che rappresenta i 2/3 della spesa regionale, così come nelle società controllate, dove l’accesso all’occupazione esula dal concorso pubblico, essendo società di natura giuridica privatistica, pur essendo il capitale controllato interamente da un ente pubblico.
Questo si presenta come un nodo fondamentale da districare se si vogliono disarticolare lobby, gruppi d’interesse e poteri locali, che rappresentano un ostacolo fondamentale ad un funzionamento efficiente ed efficace della Pubblica Amministrazione. È un nodo spinoso, poiché eliminare il potere della politica dalle nomine di dirigenti e tecnici della P. A., significherebbe limitarne le capacità di costruire consenso nel corpo sociale, sia nei livelli apicali della P. A., sia, a cascata, nei ruoli manageriali e tecnici degli Enti locali.
Un problema di non facile soluzione, poiché il consenso al Primo Ministro e al suo governo viene dalla fiducia offerta dai partiti politici, che non sarebbero certo contenti di un taglio delle loro prerogative. Non è un caso, quindi, che le enunciazioni di Draghi sui provvedimenti per snellire e migliorare il funzionamento della Pubblica Amministrazione si siano limitati alle cause interne (digitalizzazione delle procedure, accesso facilitato della cittadinanza, elevazione della qualità tecnica degli addetti) non considerando quelle esterne, che attengono all’eccesso di presenza della politica, nel determinare ruoli dirigenziali tecnici e amministrativi nelle istituzioni, ai diversi livelli in cui queste operano.
*docente di Economia e politica dello sviluppo – Università L’Orientale