La mancanza di opportunità lavorative adeguate può comportare la decisione di migrare all’estero, fenomeno in crescita negli ultimi anni (da 40 mila del 2008, a 82 mila nel 2013, a quasi 115 mila persone nel 2017), soprattutto tra i più giovani e con un più alto livello di istruzione. In meno di dieci anni le fughe sono quasi triplicate. I dati emergono dal rapporto “Il mercato del lavoro 2018. Verso una lettura integrata”, prodotto della collaborazione sviluppata nell’ambito dell’accordo quadro tra l’Istat, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l’Inps, l’Inail e l’Anpal. Nel complesso, il mercato del lavoro italiano tiene ma nonostante la crescita dell’occupazione (il tasso sfiora il record di 58,5%), rimane ampia la distanza dell’Italia dall’Ue15.
Per raggiungere il tasso di occupazione della media Ue15 (nel 2017 pari a 67,9%, contro il 58% di quello italiano) il nostro Paese dovrebbe avere circa 3,8 milioni di occupati in più. E chi cerca un lavoro qualificato lascia l’Italia. A quattro anni dal conseguimento del titolo, il 18,8% dei dottori di ricerca occupati vive e lavora all’estero. In particolare, tra i dottori che lavorano all’estero è più elevata la quota di professori o ricercatori presso l’Università e di ricercatori presso enti pubblici di ricerca (rispettivamente il 13% e il 7,4% contro il 4,3% e il 2,4% in Italia). Uno su cinque, quindi, lascia l’Italia per lavorare all’estero. “Si potrebbe dire che in un’economia globale un’esperienza internazionale di lavoro può far bene – afferma Roberto Monducci, Direttore del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, a margine della presentazione del Rapporto -. In questo caso però loro prendono il dottorato e vanno fuori, bisogna vedere se rientrano”.