L’arroganza del potere

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Quadro di Paolo Righi

Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla
Martin Luther King

di Ugo Righi

La responsabilità, il “sentirsi” responsabili, farsi carico delle proprie decisioni e risultati, anticipare gli effetti dei propri comportamenti: tutto questo rappresenta l’aspetto qualitativo ed etico del potere.
Un potere che non è strumento per ottenere risultati e quindi render conto di (responsabilità) è pura arroganza.
Il possesso di una posizione di potere che non è usato per aumentare il benessere e lo sviluppo di quel sistema è arroganza o stupidità.
Certo occorre voler e saper fare le cose che contano e questo implica il concetto di competenza.
Potere e competenza sono intrecciate, dovrebbero esserlo.
Ma quando qualcuno che occupa un basso livello di potere e sbaglia in genere è punito (no se è un burocrate si sa, loro hanno come mission il presidio dell’inefficienza) mentre questo legame potere – responsabilità si stempera tanto più quanto più si va verso l’alto.
Non dovrebbe essere il contrario?
Ci sono top manager che fanno fallire le imprese e ricevono buone uscite milionarie o raccomandazioni per far fallire altre imprese.
Cos’è la competenza? E’ ciò che si ottiene.
Il competente è chi all’interno delle proprie responsabilità riesce a evitare e risolvere i problemi, anticiparli e cogliere le opportunità.
Più competente è chi tutto ciò lo fa in situazioni complesse.
Ma quali sono gli «ingredienti» della competenza?
Sono quattro: 1) la conoscenza che consente di interpretare e capire; 2) l’abilità operativa che consente di agire verso ciò che si è capito; 3) la motivazione, il desiderio che ti consente di dare slancio, passione all’azione; 4) il senso di responsabilità. Ossia la consapevolezza che il comportamento provoca effetti e che essere in posizione di potere comporta la possibilità di ottenere o impedire cambiamenti che definiscono la realtà e la vita di molti.
Occorre una percezione diversa e profonda dei soggetti che attribuiscono il potere e in coloro che lo vivono.
Occorrono maggiore consapevolezza e competenza e che il potere sia usato per fare (bene) e non per stare ( bene personalmente e i propri amici).
Il potere positivo quando le cose non vanno o i risultati sono negativi non cerca scuse, non cerca colpevoli, non diventa un esperto dell’alibi, ma risponde lui, si fa carico e cambia.
Lo vediamo in modo chiarissimo nella politica quanto il potere sia arrogante.
Dopo nominati poi, diventano esperti della delusione, essendo prima esperti dell’illusione, spiegando perché non sono riusciti a fare ciò che avevamo dichiarato di poter fare.
Il gioco in definitiva, prevalentemente, è quello di mascherare propri interessi con dichiarazioni ideali o di presentare una propria incompetenza rivestita di lustrini luccicanti, tirando il più possibile alla lunga prima di essere smascherati.
Il recente episodio della ministra Trenta è rappresentativo.
In sostanza il punto è quello della competenza e della prospettiva autenticamente etica del potere, la vera forza che può determinare, da un lato, l’attendibilità potenziale, e dall’altro il riconoscimento reale fondato sui risultati.
C’è qualcosa di profondo che però, evidentemente, condiziona tutto. Nei fatti, molto spesso, la fine è nota ma l’incompetenza e l’impotenza appresa sono ugualmente legittimate e spesso premiate e l’insoddisfazione è diffusa.
A posteriori si dice cosa si sarebbe potuto fare e non si è fatto per poi rifare quello che diciamo che non dovrebbe essere fatto.
E’uno strano gioco.
Certo: maggiormente in politica, ma non solo.