L’anonimia apparente della Russia e le sue contraddizioni

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In foto Polad Bulbuloglu

La diplomazia è ancora la soluzione definitiva del conflitto in Ucraina? Quale personalità sarebbe maggiormente adatta a questo compito_; un Kissinger del nuovo secolo abile a mettere d’accordo i belligeranti? In realtà una facile domanda nonché considerazione, si dovrebbe trasformare in un altro dilemma avvertito da non pochi analisti del periodo che stiamo vivendo: ma la gente vuole veramente la pace? A questo punto entra in campo il ruolo della diplomazia che non è che non è efficiente, bensì proprio per la sua efficacia mai quanto attuale, non la si vuole mettere alla guida e si preferiscono personalità come Erdogan o il premier cinese, che possono essere maggiormente efficaci, perché hanno rappresentato negli ultimi anni il bandolo della matassa di molte divergenze interne ed esterne, ma sempre a sfondo economico più che politico.

In pratica una vittoria diplomatica del presidente turco, per esempio, darebbe definitivamente lustro al processo di europeizzazione messo in discussione dallo stesso Erdogannel momento in cui si è avvicinato all’Islam. Per molti Paesi quindi avvicinarsi all’occidente è un motivo primario per espandere la propria influenza e potenza economica che non può reggere con altri tradizionali partner. Basterebbe citare la stessa ‘via della seta’ che per molti è stato il tentativo cinese di sostituirsi agli Usa come influencereconomico in occidente diventando poi partner dell’occidente e sostituendo i propri sicuramente meno attrezzati. Allora la Russia deve smettere di essere ipocrita quando cita lo sfascio morale dell’occidente e la guerra ai suoi costumi degenerati, perché lei è la prima che si è avvicinato all’Europa al punto che si ipotizzava addirittura alcuni anni or sono, che ne potesse far parte. È come dare adesso voce in una guerra alle voci più estreme che vorrebbero una ricompattazione etica e morale della società, la cui saldatura e bontà è messa in discussione da molti.

L’occidente non rappresenta un mondo di degenerazione morale perché esso è il primo rappresentante dell’evoluzione del pensiero che non accetta più prevenzioni, disparità e razzismi. Criticare questo modello significa allinearsi con l’arretratezza morale e comportamentale dell’essere che può sfociare nel fondamentalismo, e che la Russia scorda di essersi vantata, a torto o a ragione, di essere la potenza più capace di combatterlo.

Senza voler negare il peso dell’incompetenza, della corruzione e dell’instabilità politica, né la sproporzione tra le forze in campo, c’è un altro fattore da considerare: molti contano sull’incrollabile sostegno di Mosca contro una minaccia “turca” e musulmana. In poche parole, si stava prendendo alla lettera l’immagine di una Russia cristiana, ultimo argine dell’occidente nella grande linea di demarcazione che lo separa dall’islam, di cui l’Armenia sarebbe un avamposto. Dato questo suo ruolo, la Russia avrebbe potuto dissuadere l’Azerbaigian dal passare all’offensiva. E invece ha lasciato che l’Armenia si facesse schiacciare.

Tutto lascia pensare quindi che Mosca non solo fosse al corrente dell’offensiva, anche a livello diplomatico con i continui incontri con l’Ambasciatore azero Polad Buibuloglu, ma ne stava discutendo i limiti con Baku, fissando le linee rosse da non superare (non varcare le frontiere armene e accontentarsi di riprendere i territori che, ai sensi del diritto internazionale, sono azeri). È da vent’anni che l’immagine di una Russia “cristiana” viene sbandierata dagli esperti di geopolitica occidentali, che amano legare le questioni migratorie a quelle geostrategiche, con l’idea che un occidente minacciato dall’islam abbia nella Russia il suo ultimo difensore. Da ciò deriva un tema ricorrente negli ambienti militari: bisognava stare al fianco dei serbi in Bosnia e di Assad in Siria e ciò spiega altre questioni, ma la strategia russa si basa a volte su una serie di contraddizioni e doppi giochi che fanno ritenere, che alla fine l’unica politica che la Russia possa cavalcare è quella che alla fine determina la sua vittoria e questo, alla luce degli avvenimenti bellici in Ucraina dovrebbe far molto riflettere e preoccupare, perché la diplomazia internazionale aveva l’occasione di giocare con le stesse armi della Russia e ciòèrivalutare la sua europeizzazione al fine di creare una ricompattazione comunicativa abile a far terminare una guerra illogica, invece di accettare che la Russia fosse posta in un angolino riesumando l’immagine stalinista del potere dello zar; un connubio che ha insito in se l’anonimia apparente nelle sue contraddizioni.