L’ambasciatore della Polonia torna sulla questione dei campi di sterminio

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In foto Tomasz Orlowski

Non esistevano “campi polacchi”! Effettivamente l’uso comune del termine ha fatto sì che oggi si parla dei campi di sterminio come una realtà appartenente al territorio polacco, quando questo invece l’ha semplicemente ‘subito’ per volere di Hitler che aveva per prima , soggiogato questa nazione nella sua mira espansionistica.
Il 12 gennaio 2017 l’Ambasciata di Polonia in Italia, di cui Sua Eccellenza l’Ambasciatore Tomasz Orlowski. ha chiesto al TGR Lazio di rettificare l’espressione erronea e fuorviante “campo polacco” utilizzata nel servizio dedicato alla posa di una pietra di inciampo. Per meglio spiegare l’importanza di utilizzare un linguaggio preciso e chiarire al pubblico italiano la problematica, l’ambasciatore di Polonia Tomasz Orlowski ha rilasciato al TG un’intervista il 27 gennaio, Giornata della Memoria. Anche quest’anno l’Ambasciata di Polonia vuole rivolgere ai media italiani l’invito a prestare massima attenzione all’uso della denominazione corretta del campo di Auschwitz, basata sulla formula ufficiale approvata da UNESCO: “Auschwitz Birkenau. Campo nazista tedesco di concentramento e sterminio” (http://whc.unesco.org/en/news/363). Con questo invito vorremmo prevenire l’insorgere di situazioni sgradevoli che ci hanno spesso costretto a chiedere chiarimenti e rettifiche di espressioni erronee e fuorvianti come “lager polacco” o “campo polacco”, che aggravavano la confusione già esistente riguardo alla storia della Shoah. Tali espressioni costituiscono un grave e pericoloso errore che deforma la verità storica sullo sterminio perpetrato dallo stato nazista tedesco sul territorio occupato della Polonia e che insinua il dubbio sulle responsabilità dello stesso, offendendo così la memoria dei milioni di cittadini polacchi, ebrei e non, vittime del nazismo. Sappiamo bene, primi fra tutti i professionisti dell’informazione, che non esistevano campi “polacchi”. Eppure leggendo articoli o ascoltando notiziari continuiamo a imbatterci in questa definizione, non solo in riferimento a Auschwitz, utilizzata spesso come una “scorciatoia linguistica” per collocare geograficamente questi luoghi di genocidio. I giornalisti o redattori si riferiscono infatti spesso soltanto alla localizzazione geografica di Auschwitz o di altri campi. Anche in tal caso utilizzare espressioni quali “campo polacco” rimane comunque inaccettabile, in quanto lo stato polacco non esisteva negli anni del funzionamento dei campi di sterminio; i territori sui quali i campi erano situati era stati invasi e occupati dai nazisti tedeschi. L’utilizzo di tali espressioni erronee potrebbe essere peraltro interpretato come una forma di negazionismo, considerando la definizione adottata dall’International Holocaust Remembrance Alliance – IHRA (http://www.holocaustremembrance.com/working-definition-holocaust-denial-and-distortion). Confidiamo nella collaborazione di tutti quelli che, in quanto giornalisti, sono chiamati a contribuire alla diffusione delle notizie esatte sulla storia della Shoah e pertanto all’uso corretto del linguaggio. A riflettere sul linguaggio, riferendosi a coloro che hanno parlato di “deportazione” per i precari della scuola, ha anche esortato la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli durante il Viaggio della Memoria (18/19 gennaio), organizzato dal Miur e dall’Ucei, a cui, con in testa l’Ambasciatore, abbiamo preso parte. “Se vogliamo estirpare i semi dell’intolleranza dobbiamo tutti, a cominciare dai media, stare attenti alle definizioni”.