La via della seta dal Golfo di Napoli alla baia di Kobe

L’antica Via della Seta è tornata sotto i riflettori sia in Italia che all’estero: come dimostra il meeting alla Casa Bianca alla quale ha partecipato anche la premier italiana Giorgia Meloni che in un’intervista a Fox ha affermato: “Non ho ancora deciso sulla Via della Seta. E’ qualcosa di cui dobbiamo parlare in Italia. Il paradosso è che siamo l’unico paese dentro la Belt and Road Initiative ma non siamo quello con i maggiori scambi”.

Ma con l’Estremo Oriente è esistita anche una Via delle perle del Corallo e dei Cammei. Lo testimonia la famiglia D’Elia di Torre del Greco. I D’Elia furono tra i pionieri di un business che alla fine dell’Ottocento caratterizzò i rapporti economici tra il giovane Regno d’Italia e l’altrettanto giovane Impero del Giappone. Un Impero che con la restaurazione Meiji del 1868 accelerò la sua riapertura al mondo – già avviata dal decadente shogunato -, dopo due secoli e mezzo di chiusura ermetica.

Se la mostra “Pagine Giapponesi” alla Biblioteca Braidense di Milano mette in evidenza come la seta (con una ricerca spasmodica da parte italiana di importare bachi e segreti della bachicultura) sia stato l’ elemento economico più importante nei primi contatti tra i due Stati, sicuramente non vanno tralasciate le antiche testimonianze tra le rare foto d’epoca e preziosi manufatti, che danno risalto all’epopea del corallo dei cammei e del commercio delle perle coltivate, che vide anch’essa protagonisti audaci imprenditori e commercianti della penisola, disposti ad affrontare grandi rischi non solo finanziari. Testimonianze che permettono di ricostruire lo sviluppo di un artigianato artistico che ha finito per influenzare la storia del costume e della moda su scala mondiale, oltre ad ispirare a vasto raggio le arti figurative.

Perle, coralli e cammei hanno del resto forgiato l’identità storica di un intero territorio e costituiscono ancora oggi la ragione per cui Torre del Greco è famosa nel mondo. Fu grazie a eventi come il trasferimento a fine Ottocento delle famiglie campane a Kobe – città ideale per gestire il business di coralli, perle e conchiglie – che l’immagine dell’Italia si consolidò in Giappone come terra di raffinate lavorazioni artistiche, in un’epoca in cui il Sol Levante fece una cernita del meglio dell’Occidente. Se dalla Prussia copiò l’organizzazione militare e costituzionale e dall’Inghilterra la Marina, dall’Italia importò esperti per apprendere le belle arti.

Amicizia e business
In un curioso parallelismo con i problemi riscontrati dalla sericoltura, la molla per l’emigrazione dei torresi in Oriente fu l’emergere di una grave carenza di approvvigionamenti di materia prima nel Mediterraneo, proprio quando dall’America cominciavano ad arrivare rilevanti commesse, nel Sol Levante nessuno lavorava il corallo, anche se nei mari orientali c’erano ampi bacini coralliferi, che offrivano tra l’altro la possibilità di realizzare prodotti artistici di maggiori dimensioni. Se all’inizio il Giappone forniva solo materie prime, con il tempo è diventato anche un grande mercato di esportazione, secondo un trend culminato ai tempi della bubble economy. Oggi il Paese rappresenta ancora un mercato di rilievo, sia per l’import sia per l’export.