La vecchia sinistra è rimasta senza popolo

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Sette giorni (290417)

Antonio Arricale

 

Prima odiato, ora giubilato e, presto, probabilmente nuovamente denigrato. È il paradosso che sempre si accompagna al fragore delle armi. Non solo negli Usa. Insomma, al presidente Donald Trump è bastato fare la voce grossa contro Siria e Corea del Nord e, ancor più, sganciare qua e là qualche bomba e, anzi, minacciare di sganciarne di più potenti contro il dittatore Pyongyang, per risalire la china nei sondaggi di gradimento dell’opinione pubblica, soprattutto tra i democrat. E non soltanto in America, ma anche di qua dell’Oceano. In fondo è stato sempre così: il partito delle armi, si dice, è quello conservatore – nella fattispecie, il Repubblicano – ma a fare le guerre poi sono soprattutto i progressisti (ricordate D’Alema?).

L’ondata di simpatia per Trump, però, è destinata ad esaurirsi presto, perché nel frattempo il presidente Usa ha anche promesso ai cittadini americani  “il più grande taglio di tasse della storia” (le imprese, nei piani presidenziali, pagheranno un’aliquota del 15% rispetto a quella attuale del 35%). In materia, infatti, si sa, le tasse piacciono soprattutto ai progressisti (ricordate la felicità di Visco?) che con la scusa dello stato sociale ne abusano a dismisura, un po’ meno ai conservatori.

Ma non è di questo che in Italia si parla volentieri, in questi giorni. A noi tocca, infatti, sorbirci le lagne delle prefiche accorse ai piedi del letto di morte dell’Alitalia. La compagnia area di bandiera che sta sul punto di portare i libri in tribunale e finire come spezzatino in chissà quali mani. Come se queste, nelle quali finora sono state fossero – giusto per notare – mani affidabili. E, tuttavia, la colpa della crisi, sembra di capire, è dei lavoratori che hanno bocciato il piano di rilancio. Questo infatti è il messaggio che passa attraverso i media. Anche quelli più seri. I quali, infatti, omettono di ricordare – o lo fanno solo en passant – la gestione scellerata fin qui condotta, prima con mano pubblica, e poi dei cosiddetti capitani coraggiosi, forse addirittura coartati dal governo dell’epoca (Renzi, da ultimo, ma anche Berlusconi ha le sue colpe) che è arrivata al punto di far perdere all’azienda un milione di euro al giorno. Aspetto, però, che non ha impedito di remunerare gli amministratori dell’azienda con più che lauti stipendi e ancor più munifiche buonuscite.

Certo si parla anche delle primarie del Pd, in vista di elezioni che tutti invocano ma nessuno vuole, tanto che la buona intenzione di una nuova legge elettorale – nonostante i richiami del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e le dichiarazioni solenni affidate ai tg dei capocci di turno dei partiti – resta accantonata tra le proposte legislative della Camera dei deputati e del Senato.  

A dire il vero, l’occasione delle primarie è stata vista assai propizia anche per strizzare l’occhio al francese Emmanuel Macron, che al primo turno delle presidenziali francesi – come si sa – conduce la corsa davanti alla nazionalista Marine Le Pen. Dell’astro nascente della politica parigina si è detto tutto e il contrario di tutto. Di lui, però, nel paragone improbabile che accomuna i progressisti italiani ai cugini d’oltralpe, il giudizio più sensato mi è sembrato  quello del sociologo Luca Ricolfi. “La vecchia sinistra è rimasta senza popolo”, ha annotato il professore, “e in Francia Macron rischia di fare la fine di Renzi”. Il sociologo, infatti, è convinto che la sinistra di governo non sia più in grado di dare protezione ai ceti popolari. Anche se potrà sopravvivere per mancanza di alternative credibili.

Ma si parla della sinistra italiana, soprattutto. La quale, come si diceva appunto nel caso già citato dell’Alitalia, e che emerge con ancora più evidenza dalla manovra correttiva appena varata, continua a battere le solite strade, affidandosi dunque ai soliti slogan: lotta all’evasione, tassa sulla fortuna, accise sulle sigarette, fondi ai terremotati, maximulta ai portoghesi del bus, ritocchi all’Ape social, aumenti di capitale per Invitalia, più fondi alle province (ma non erano state cancellate?) e via discorrendo. Una sinistra che ha cancellato dal suo vocabolario la parola lavoro – questo è il punto – assecondando supinamente gli effetti perversi di una globalizzazione che vuole tutti più poveri e senza diritti. E che, perciò, non batte più di tanto ciglio alla lettura dei nuovi dati Inps sull’occupazione, da cui emergono – evidente effetto del Jobs act – un aumento, è vero, di assunzioni, a fronte però di un crollo dei contratti stabili e di un vero e proprio boom di licenziamenti disciplinari (64,9% in più rispetto ai primi due mesi del 2015 quando non erano ancora in vigore le nuove norme sul lavoro).

Oppure, che si rizela alla alle ipotesi di sospetti che cominciano a sollevarsi intorno alla gestione umanitaria (inquinata, probabilmente) dei flussi migratori. Mentre la popolazione italiana non solo invecchia (e questo si sapeva) ma di questo passo conterà addirittura 7 milioni in meno nel 2065, con il Sud che si spopolerà drammaticamente.