La tenuta dei melograni, Vincenza D’Esculapio racconta l’eredità dei ricordi

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di Fiorella Franchini

Il tempo si annulla quando incontra i ricordi. Vincenza D’Esculapio nel suo romanzo La tenuta dei melograni, edito da Homo Scrivens, riannoda i fili del passato e del presente e ci conduce con la sua abile scrittura, nella vita di Brigida Chiaramonte, duchessa D’Acquaviva, e nella tormentata storia della sua nobile famiglia d’origine siciliana. È un viaggio a ritroso negli anni, dal 1837, flagellato dal colera, fino alla rivoluzione del 1848. Eventi e personaggi reali si affiancano a vicende e soggetti di fantasia per restituire le atmosfere di un’epoca, le emozioni e i sentimenti di un vissuto denso di significati.

Vincenza, qual è la prima immagine di questo romanzo nata nella sua mente di scrittrice?
Un‘isola, la Sicilia.  Luogo dove far trovare rifugio alla protagonista del mio secondo romanzo ambientato a Forio d’Ischia L’ultimo Sposatore, in cui si narra la storia di una creatura abbandonata alla Real Casa dell’Annunziata di Napoli nel 1890. Chi aveva lasciato la neonata, che si scoprirà essere una nobile? Come mai arriverà in Sicilia?  La tenuta dei melograni è il suo prequel e ce lo racconta.

È innegabile, anche se a lungo dimenticato, il duro e faticoso cammino che le donne hanno dovuto percorrere per riscattarsi, per poter sedere, con pari diritto e dignità, allo stesso tavolo degli uomini. Solo da qualche decennio le cronache e la storia stanno riportando alla luce quelli che sono stati i passi e i fatti fondamentali di questa lotta, ma quasi sempre rimane nell’ombra il loro vissuto quotidiano. Le piccole vite delle donne, di ogni estrazione sociale, quelle celate dietro le porte di casa, o quelle costrette ad affrontare la violenza della guerra, la persecuzione, ma che hanno trovato, spesso in silenzio, la forza per resistere a violenza, paura, indifferenza. Nel romanzo di Vincenza D’Esculapio sono proprio le donne a raccontare la Storia e le storie.

Può parlarci dei suoi personaggi?
Il romanzo strutturato in due atti è ricco di personaggi femminili e maschili, che ruotano intorno alla storia delle due protagoniste, Ginevra e Brigida, madre e figlia. Due donne che campeggiano rispettivamente nel I nel II atto, entrambe dal carattere forte faranno scelte coraggiose e difficili, tanto da capovolgere le loro esistenze. Accanto a loro figure comprimarie, tra cui alcune di supporto, come le zie nubili di Ginevra; altre che saranno di ostacolo, tanto per citarne una il duca D’Acquaviva, suocero di Brigida, massone e ostinato avversario di tutti i liberali.  Nella narrazione accanto a personaggi d’invenzione vivono di vita propria figure realmente esistite, come la giornalista e scrittrice Rosina Muzio Salvo, la giovane e sfortunata poetessa Giuseppina Turrisi Colonna, la principessa Graziella Grimaldi, la Principessa di Butera, Cristina Trivulzio di Belgiojso e Mariannina Coffa, soprannominata la Capinera di Noto. Di notevole interesse storico sono alcuni uomini, quali il padre di Ginevra ex ufficiale borbonico e suo marito, il conte Ruggero di Chiaramonte.  Entrambi personaggi d’invenzione, ma verosimili perché emblematici di quanti, nonostante lo status privilegiato di cui godevano, aderirono alle idee liberali della prima metà dell’Ottocento. 

Un racconto che fa riflettere su quante sono state nel corso dei secoli le protagoniste femminili che, con il loro contributo hanno rivoluzionato il mondo, nel campo della politica, della letteratura, della scienza, o nella quotidianità di una vita dedicata alla famiglia e all’educazione dei figli. Donne colte ma anche casalinghe, operaie che con l’esempio hanno combattuto per se stesse e per le altre.

Quali sono i principali eventi storici che si fondono con la narrazione di fantasia?
La storia prende le mosse nel 1837, anno nefasto per l’epidemia di colera che travolse buona parte della nostra penisola e in particolare la Sicilia. Qui i fatti narrati sono supportati da documenti dell’epoca. Altro spaccato storico sono i noti fatti della rivoluzione del 1848 e della nascita proprio in quell’anno a Palermo, di un movimento poco noto ai più, ma di notevole interesse storico: La legione delle Pie sorelle, animato dalle nobili e intellettuali citate in precedenza cui si aggregarono donne dei ceti sociali meno abbienti.  

Il romanzo prende il via dai ricordi di una madre lasciati come un’eredità invisibile a una figlia che li raccoglie. Le immagini di qualcosa che è stato, attraverso l’umanità dei sentimenti, si fissano in idee, creano conoscenza, alimentano la riflessione. Lo stile sapiente dell’autrice trasforma il ricordo familiare e intimo in memoria storica.

Palermo, Modica, Napoli, cosa caratterizza ognuno di loro?
A Napoli, durante i giorni della nevicata del 1956, attraverso il ricordo di Brigida si apre e chiude la lunga narrazione. Palermo parla da sé.  È Storia. Modica, invece, è il primo rifugio di Brigida quando sarà costretta dal destino a fuggire dalla Tenuta dei Melograni che ho immaginato fosse nei dintorni di questa meravigliosa città barocca.

Qual è il sentimento predominante di questo racconto?
Predomina nel racconto un sentimento per il quale le donne si sono battute da sempre e continuano a farlo ancor oggi.  Il riscatto sociale, politico e soprattutto culturale, da cui tutto deriva. 

La forza delle donne è sicuramente un fil Rouge che traspare dalla narrazione, ma emerge, con equilibrata maestria, il senso pregnante del passato, grazie alla prevalenza degli elementi affettivi. L’esperienza emozionale che scaturisce dalla lettura del romanzo raccorda eventi, pensieri, impressioni e traccia con intensità un solco nell’anima.

Si tratta di una saga familiare testimone di coraggio ed esperienze positive, ma le generazioni future saranno ancora capaci di trasmettere valori così pregnanti?
“Né trastullo né servo il nostro sesso / col forte salga a dignità conforme”, auspicava Giuseppina Turrisi Colonna nei suoi versi. Il cammino è ancora lungo. Ma nonostante gli inciampi e le contraddizioni ogni generazione è riuscita a fare un passo avanti. Se così non fosse stato, la Storia avrebbe ucciso se stessa. 

“Nelle profondità dell’inverno, alla fine ho imparato che dentro di me giaceva un’estate invisibile” scriveva Albert Camus. La narrativa deve fare anche questo, costruire la nostra identità individuale e collettiva per temprarci a un futuro sempre imprevedibile ma che ha radici in ciò che è stato.