di Achille Flora
La BCE si è allineata ad un intervento più consistente per combattere l’inflazione, già avviato dalla Federal Reserve statunitense, innalzando quello europeo dello 0,75%, svoltando repentinamente dalla politica dei tassi zero o negativi. Questa determinazione deriva dal livello elevato e persistente dell’inflazione europea, ma anche perché l’Europa non è in stagnazione ma ancora in crescita nel 2022, così come il rendimento dei titoli sovrani, i salari in rallentamento. Condizioni – quindi – adatte, secondo la BCE, per determinare una stretta monetaria tale da raffreddare l’economia.
Servirà a raffreddare anche la fuga di capitali verso il mercato finanziario americano, già in atto in diversi paesi emergenti attirati da maggiori rendimenti, oltre a frenare l’apprezzamento del dollaro rispetto all’euro, ma dubbi emergono sull’efficacia di una tale manovra quando l’inflazione europea, a differenza di quella americana, è da innalzamento dei costi di materie prime ed energia e non da eccesso di domanda. Il risultato che si attende è quello di contenere le aspettative d’inflazione.
Inoltre, la decisione della BCE di passare dai tassi zero a tassi di mercato, anche se i minori, per i depositi delle banche nel sistema euro, affinché non investano nei titoli sovrani tedeschi, appetibili per la loro mancanza di rischio. Di fatto è un altro stimolo a rastrellare liquidità dal sistema.
Una politica monetaria restrittiva, quindi, che solleva molti dubbi sulla sua efficacia, quando il problema maggiore è quello di frenare l’aumento del prezzo delle risorse energetiche, iniziato con le strozzature nelle Catene Globale del Valore e l’invasione russa dell’Ucraina e accelerata dalle ritorsioni russe verso le sanzioni europee.
I primi effetti sono stati positivi sulle borse, con chiusure in rialzo, dopo un iniziale sbandamento, ma anche sullo spread tra Btp e Bund, anche se di pochi punti. Di negativo, la risalita dei rendimenti dei titoli sovrani europei, tra cui i nostri BTP e l’aumento delle rate dei mutui sottoscritti a tassi variabili, oltre ai segnali negativi che provengono dall’economia reale, da famiglie e imprese, che non reggono l’aumento del prezzo di gas ed elettricità.
Di fatto, la sensazione è che la BCE navighi al buio (D. Masciandaro, Sole 24Ore), poiché la risalita dei tassi dovrebbe tendere al quel tasso, neutrale o terminale che sia, capace d’invertire la politica monetaria da espansiva a restrittiva, per approdare ad un ruolo neutrale del tasso stesso. La stessa Lagarde, però, ammette che nessuno sa quale sia.
Se la politica monetaria non appare efficace nel combattere un’inflazione da costi, con input provenienti dall’esterno dell’economia, bisognerebbe ricorrere a politiche energetiche unitarie capaci di contrastare l’aumento del prezzo del gas. Bisognerebbe parimenti rimuovere sia il ruolo del TTF (Title Transfer Facility) olandese, luogo di scambio virtuale per consumi presenti o futuri, ma prevalentemente futuri, con bassi livelli di scambio reali che evidenziano una predominanza finanziaria più che reale, che apre le porte a correnti speculative. Il problema è che il TTF è punto di riferimento europeo per il prezzo del gas. Così come sganciare il prezzo dell’elettricità da quello del gas.
Il problema per l’Europa è la mancanza di unitarietà tra i paesi membri dell’Unione, monca di politiche comunitarie, dalla politica fiscale a quella energetica fino a quella militare, che ne impediscono il completamento in uno Stato federale, facendo emergere continuamente interessi contrastanti dei singoli paesi. Non c’è unitarietà decisionale perché i paesi hanno diversi livelli di dipendenza dalle forniture di gas russo, trattano e chiudono contratti singolarmente, con notevoli differenze di prezzo in base. Il piano in cinque punti della Commissione europea (dai risparmi sui consumi di elettricità alla cessione agli Stati degli extraprofitti, ai contributi e garanzie statali alle imprese oil-gas-coal per consentire loro di pagare il prezzo stellare del gas, fino ad un tetto al prezzo del gas) sono indicazioni da discutere con i diversi ministri dell’energia e già emergono contrasti. Il punto più controverso è quello del tetto al prezzo del gas, cui l’Olanda oppone il suo diniego se esteso a tutte le importazioni e non solo a quello russo, così come la Germania perché il prezzo elevato del gas è un disincentivo ad usarlo. E così via per altri punti delle proposte.
Questo è il punto nodale. L’adozione dei Ricovery Bond, basato su obbligazioni emesse dalla Commissione e garantiti dal bilancio europeo per finanziare il NGEU, ha posto una prima pietra per superare la frammentazione politica e decisionale. Ora si tratta di portarla avanti.