La Svimez: Recovery Plan, insufficiente la strategia di intervento per il Sud

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in foto Luca Bianchi, direttore della Svimez

“La Svimez riconosce i miglioramenti introdotti nella nuova proposta di Pnrr rispetto alla versione circolata a inizio dicembre 2020, complessivamente insoddisfacente, troppo sbilanciata sugli incentivi e priva di una chiara priorità per gli investimenti volti a ridurre il divario nell’offerta di servizi (istruzione, sanità, mobilità) tra le diverse aree del Paese. Manca tuttavia ancora una maturazione piena della visione del contributo che il Mezzogiorno può dare alla ricostruzione del Paese”. E’ quanto si legge nella relazione presentata nel corso dell’audizione di oggi in commissione Bilancio alla Camera dalla Svimez.
Il Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza, è il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, lo strumento per rispondere ala crisi pandemica provocata dal Covid-19. “Il Pnrr approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 12 gennaio – continua la nota della Svimez – presenta miglioramenti con riferimento alla presentazione della visione di insieme di riforme e investimenti e alla definizione di obiettivi di policy connessi ai tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale. L’allocazione delle risorse tra missioni è stata rivista per correggere un’impostazione iniziale che penalizzava ambiti cruciali di intervento come la sanità, l’istruzione e la ricerca. Rispetto alla versione circolata lo scorso dicembre, nel nuovo Pnrr alcune missioni, decisive per raggiungere l’obiettivo europeo di una maggiore coesione sociale e territoriale, hanno beneficiato di considerevoli aumenti: sanità, inclusione e coesione e istruzione e ricerca. E’ stata incrementata la quota di investimenti con una conseguente riduzione della quota incentivi, una scelta quest’ultima che indirettamente dovrebbe favorire una maggiore allocazione delle risorse al Sud, considerato che la destinazione territoriale degli incentivi è fortemente influenzata dalla capacità di assorbimento dei territori”.
“La crescita dimensionale del Piano e l’incremento della quota relativa ai nuovi progetti rispetto alla bozza di dicembre 2020 si conseguono anche grazie al concorso delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) per 21,2 miliardi. Si tratta di un’anticipazione di tali risorse che rientrano così nella procedura decisionale del Pnrr. Una scelta da condividere se finalizzata ad una accelerazione della spesa. L’inserimento della leva nazionale della politica di coesione all’interno del Pnrr richiederà grande chiarezza nella definizione dei profili temporali di reintegro delle risorse dell’FSC anticipate nel Pnrr. Sarà decisivo per la coerenza del Piano garantire nel Documento di economia e finanza 2021 il pieno reintegro delle risorse con il relativo profilo temporale. Si rileva inoltre l’esigenza di prevedere, in analogia con quanto previsto per React EU, un’indicazione puntuale degli interventi al cui finanziamento contribuisce il Fondo, anche al fine di un migliore monitoraggio del rispetto del vincolo di allocazione delle risorse (80% al Mezzogiorno).
L’integrazione degli interventi del Pnrr con le risorse in corso di programmazione per le politiche di coesione europee e nazionali è potenzialmente in grado di massimizzare l’impegno aggiuntivo per la coesione territoriale. Esempio virtuoso di sinergia si rintraccia proprio nella integrazione tra la programmazione di React EU con le risorse del RRF in una effettiva e verificabile logica di complementarità e addizionalità. Per ciascuno degli interventi al cui finanziamento contribuisce il programma viene esplicitata la quota destinata al Mezzogiorno che per il complesso delle risorse è pari al 67,4% (8,8 miliardi di euro). Si tratta di un contributo apprezzabile della politica di coesione al rafforzamento delle misure di riequilibrio territoriale trasversalmente alle missioni del Pnrr (fiscalità di vantaggio per il lavoro al Sud e interventi orientati al rafforzamento delle politiche attive del lavoro; investimenti orientati alla trasformazione tecnologica e digitale; interventi finalizzati alla transizione ecologica che riguardano l’economia circolare e la valorizzazione del ciclo integrato dei rifiuti; potenziamento dell’investimento in capitale umano; sostegno alla trasformazione digitale della didattica nelle scuole)”.
La Svimez ha ribadito l’esigenza di orientare le risorse aggiuntive del Piano all’obiettivo della coesione territoriale, soprattutto per quanto riguarda le dotazioni infrastrutturali e sociali e per le politiche volte a migliorare la qualità e il livello dei beni e dei servizi pubblici essenziali.
Secondo la Svimez, il documento dovrebbe meglio esplicitare come l’obiettivo traversale della coesione territoriale venga perseguito all’interno di ciascuna missione, declinando fabbisogni, target e risultati attesi territoriali. Da una simile impostazione di metodo – senza la necessità di imporre ex-ante vincoli territoriali di destinazione di pura natura contabile – segue una concentrazione delle risorse complessive del Piano al Sud per una quota superiore al suo peso in termini di popolazione (34%). Al Sud si concentrano i ritardi più rilevanti in termini di offerta di servizi pubblici essenziali e allo stesso tempo rilevanti opportunità in termini di contributo alla transizione del Paese verso un’economia più sostenibile. Se non si destinano al Sud risorse adeguate a superare questi ritardi e ad attivare tali potenzialità, il Piano non raggiungerà il suo obiettivo di ricostruire un processo di crescita più equo e più stabile.
La Svimez ha presentato i risultati di una simulazione dei possibili effetti sulla crescita del PIL derivante dall’impiego delle risorse mobilitate dagli interventi previsti dal Pnrr. La simulazione si concentra sulla quota di risorse relative agli investimenti, pari al 70%, delle risorse complessive previste dal Piano per interventi in essere e per nuovi interventi. Di queste risorse la quota finanziata su FSC pari a 21,2 miliardi è stata ripartita secondo il criterio di allocazione di legge 80% al Sud, 20% nel resto del Paese, la restante parte è stata ripartita territorialmente secondo due ipotesi. Nel primo scenario, si ipotizza che, ripercorrendo il trend storico più recente, solo una quota pari a circa il 24% (la quota di risorse ordinarie in conto capitale mediamente spese al Sud tra il 2014 e il 2019) sia destinata al Mezzogiorno. Nel secondo, invece, si assume una destinazione al Mezzogiorno, secondo noi coerente con le finalità definiti a livello europeo, del 50% dei fondi di Next Generation EU destinati ad investimenti.
Dalle stime risulta che una distribuzione territoriale delle risorse più favorevole al Mezzogiorno, e più coerente con l’obiettivo europeo della coesione territoriale, avrebbe l’effetto di incrementare significativamente la crescita del Pil meridionale, dall’8,1 all’11,6% (impatto incrementale cumulato 2021-26) e determinerebbe anche una maggiore crescita complessiva dell’economia nazionale di circa un punto percentuale.
Quanto ai problemi attuativi, il nodo non sciolto riguarda la governance, tema che assume particolare rilevanza con riferimento alle regioni del Mezzogiorno caratterizzate da un gap di capacità amministrativa che riguarda sia le funzioni ordinarie sia l’attuazione delle politiche di coesione europee. L’utilizzo delle risorse del Piano Next Generation Italia deve essere l’occasione per un rafforzamento del presidio centrale delle politiche ma anche per un investimento aggiuntivo sulla pubblica amministrazione nazionale e locale.
Nella definizione e attuazione dei progetti occorre restituire un ruolo attivo alle imprese strategiche nazionali che possono, in coerenza con gli obiettivi generali di sviluppo inclusivo e sostenibile, rivestire il ruolo fondamentale di attivatori di nuovi mercati locali supportando il processo di infrastrutturazione materiale e immateriale.