Il Covid-19 ha messo a repentaglio l’apprendimento; lo ha cacciato dalle aule scolastiche. Per impedire che alle nuove generazioni l’apprendimento sia portato via, le autorità predisposte all’istruzione sono intervenute sul fronte organizzativo del settore scolastico, anzitutto con la didattica a distanza facendo leva sulle nuove tecnologie. Nei paesi e nelle comunità più povere gli alunni subiscono i danni provocati dalla mancanza di accesso a servizi a banda larga adeguati. Costoro e i loro coetanei dei paesi con migliori condizioni economiche vanno incontro a minori opportunità essendo i programmi di studio inadeguati, mal concepiti per poter cavalcare le onde delle trasformazioni tecnologiche, produttive e sociali in corso. Dunque, non c’è solo da colmare il dislivello digitale; c‘è anche da smettere la danza macabra del divario cognitivo in cui gli scheletri sono la personificazione della scuola di oggi e i discenti rappresentano gli agenti del futuro che non vogliono finire sotto i detriti del dissestato edificio dell’istruzione.
Per evitare il peggio, la scuola deve dismettere la vecchia narrativa. Non basta aggiungere all’eredità lasciata dai predecessori. La scuola ha da prodigarsi per una nuova narrativa. La natura dell’istruzione è chiamata a fare un salto, accogliendo tre esortazioni (si dovrebbe, si potrebbe, si farà) che evocano quattro saperi (saper fare, pensare, immaginare, comprendere) da sottoporre a sperimentazioni. Tentativi e prove nascono da questo interrogativo: avendo automatizzato la muscolatura durante la Rivoluzione Industriale, stiamo automatizzando il cervello durante l’attuale Rivoluzione Cognitiva, con ricadute economiche e sociali potenzialmente enormi?