La sanità: tra corruzione e anticorruzione

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Il delitto di corruzione (artt. 318 ss. c.p.) è un reato plurisoggettivo, più precisamente bilaterale, a concorso necessario; si verifica quando “un pubblico ufficiale per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, riceve indebitamente, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa”.

Oltre ad essere un fatto penalmente rilevante, la corruzione intacca i legami sociali, la fiducia, le relazioni e le dinamiche democratiche anziché generarli e farli crescere. Introduce nella società effetti negativi che si misurano non solo in termini di danno economico ma dimostrano una fragilità costitutiva del corpo sociale soprattutto perché si tratta di comportamenti attuati da persone che rivestono un incarico istituzionale.

Negli ultimi cinque anni, in una azienda sanitaria su tre si sono verificati episodi di corruzione. Il settore della sanità è tra i principali ambiti economici della nostra società e per questo oggetto di fenomeni di illegalità e corruzione a livello internazionale e nazionale. E’ un settore che assorbe circa 115 miliardi di euro di spesa pubblica e circa 30 miliardi di spesa privata, terreno fertile per fenomeni corruttivi che assorbono denaro ed erodono fondi per strutture, farmaci e assistenza.

Gli ambiti in cui tale fenomeno si annida sono diversi, dal settore dei contratti come forniture di medicinali, gestione di pagamenti, alla selezione del personale e realizzazione di opere. Le cause si rintracciano tutte in una normativa frammentata e mal coordinata tra i livelli statali, regionali e subregionali; troppe regole complesse e frammentate che creano occasione di malaffare.

I costi sono alti, circa 6 miliardi di euro, cioè più del 5 % della spesa pubblica sanitaria sono le risorse distolte ai servizi sanitari a causa di corruzioni e frodi.

Per far fronte a questa problematica, e alla più ampia tematica in generale, nel 2012 l’Italia ha approvato la legge n. 190/2012 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.

La ratio della normativa è quella di intervenire con un approccio multidisciplinare per prevenire e reprimere il fenomeno corruttivo, qui inteso in maniera più ampia come un insieme di situazione in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontra l’abuso di potere al fin di ottenere vantaggi privati.

Il modello programmatorio viene definito “a cascata”, poggia su 5 strumenti prioritari: analisi del rischio, trasparenza, formazione, codici di comportamento, contrasto ai conflitti di interesse; al centro del modello vi è il Pna (Piano nazionale anticorruzione) che disciplina le linee guida di azione delle singole amministrazioni.

Sulla base di questo Pna le amministrazioni, in osservanza della l. n. 190/12, devono adottare un Programma triennale per la trasparenza e l’integrità (Ptti) e un Piano triennale di prevenzione della corruzione (Ptpc) che prevede la selezione delle aree a rischio corruttivo, l’adozione di uno specifico codice di comportamento, la predisposizione di un regolamento per le procedure d’acquisto e soprattutto l’attivazione di una pratica di “whistleblowing policy” ossia procedure per l’individuazione di casi di corruzione e azioni a tutela dei dipendenti che effettuano segnalazioni di presunti fatti illeciti.

Questa legge è chiaramente uno strumento idoneo a fissare le linee guida per amministrazioni ed enti per arginare un fenomeno che nell’ambito sanitario provoca un peggioramento degli indicatori generali di salute delle popolazioni- lo evidenzia Transparency International nel rapporto del 2006- ma la corruzione è una possibilità che attraversa tutti.

Dunque, quanti di noi sono disposti a demolire quella apparente linea di demarcazione tra atti di corruzione che finiscono sui giornali e nei tribunali e piccoli comportamenti quotidiani frutto della stessa logica di illegalità?