Il coronavirus non ci abbandonerà per molto tempo, e nemmeno i nostri timori al riguardo. In tutto il mondo cambiano visioni e progetti. I morti continuano a rattristare le cronache. C’è molto di cui aver paura.
Ma quando gli altri si aprono con voi e condividono le loro paure, che cosa rispondere? Potrebbe sembrare utile confortare con commenti rivolti a sollevare il morale: Ce la faremo, forza, abbi coraggio e supereremo il male… Ma a chi soffre potrebbe sembrare che tu voglia scavalcare il suo dolore, lasciando poco spazio alla comprensione o alla vulnerabilità.
Rispondere all’espressione di angoscia di qualcuno con un atteggiamento scanzonato, per quanto con buone intenzioni, è ciò che lo psicoterapeuta Whitney Goodman chiama positività sprezzante, o tossica.
Una risposta empatica è ciò che rassicura l’interlocutore che vive il suo momento di angoscia e cerca rassicurazione nella comprensione dell’altro. Una risposta che non tenga conto di questo stato d’animo e punti invece a scuotere l’animo di chi soffre chiedendo una reazione positiva potrebbe avere l’effetto opposto a quello desiderato. Dire “Se modificassi il tuo atteggiamento, ti sentiresti meglio” sarebbe vissuto come una colpevolizzazione.
Quello che possiamo definire positività sprezzante può assumere molte forme: alla radice, è la risposta di chi si sente a disagio nel compito di consolare un’altra persona e placare le sue preoccupazioni, ha spiegato la psicoterapeuta Nicolle Osequeda. Spesso si ottiene l’effetto “che qualcuno si senta inascoltato, frustrato, non sostenuto e solo”. Il fatto che tu dica “Starai bene” non significa che questo accadrà davvero. “Non è così che funziona il mondo”, ha detto Ayanna Abrams, psicologa clinica: “Non è così che funziona il nostro corpo, non è così che funziona il nostro cervello”.
I problemi e le paure generate dal Covid-19 possono avere vari gradi di complessità e cercare di proporre una risposta semplificata rifugiandosi in un ottimismo di maniera non è sempre un rimedio adeguato.