La politica non ha più capacità di “ascolto”

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(Imagoeconomica)

Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 19 luglio all’interno della rubrica Spigolature

di Ermanno Corsi

Dalla Camera al Senato, da Palazzo Chigi al Quirinale. Nuova “via crucis” per la politica dell’infuocata estate 2022: un malinconico “rosario-corteo di interventi” che trasformano le aule parlamentari in confessionali ipocritamente arroganti dove pochi, tra quanti intervengono, hanno coraggio e onestà intellettuale di ripensare criticamente il proprio operato. Da qui le poche vie d’uscita, fra le molte fumose, capaci di incidere produttivamente sui problemi che tramortiscono il Paese. Spettacolo deprimente che fa ricordare le invettive di Eugenio Scalfari quando osservava, con piena ragione e stimolante spirito critico, che i partiti erano diventati “aridi ossi di seppia”. Paese legale e Paese reale sempre più distanti. Istituzioni arroccate su se stesse, cittadini che di seggi elettorali sono stufi e che a ogni turno (amministrativo o politico) per metà preferiscono rimanersene a casa.

SITUAZIONE GRAVE MA NON SERIA. Diceva così Indro Montanelli ogni volta che la politica politicante le studiava tutte per ingannare con subdoli artifici i cittadini. Montecitorio e Palazzo Madama non sono stati da meno in questi giorni. Secondo Di Maio i vertici pentastellati, l’avvocato del popolo Giuseppe Conte in primis, preparavano la crisi da tempo: un filo nero da stringere al collo del Governo di solidarietà nazionale. Alla Camera non si vota il decreto, ma si rinnova la fiducia a Draghi. Al Senato, non esistendo questa possibilità di sdoppiamento, sfiducia e basta (ai 172 sì per il Governo, contrapposti 39 no e le assenze di 61 grillini). Prima del voto, convulsi contatti fra contiani pasdaran e governisti. Il ministro pentastellato Federico D’Incà (Rapporti col Parlamento) si è speso fino all’ultimo per evitare lo strappo. Secondo il sociologo Mimmo De Masi -che fa sentire la sua voce da Ravello e da tempo considerato “nume tutelare” del grillismo- in queste ore si sarebbe completata la lunga marcia del Movimento che, come Partito, punterebbe adesso al 10 per cento.

ROVINOSO PAPEETE. Il nome di uno dei più esclusivi bagni della Milano Marittima (in provincia di Ravenna), è legato ad alcuni momenti particolari della vita politica italiana. Qui, sciolti tutti i freni inibitori, in una sera dell’estate 2019 Matteo Salvini scatenò polemiche violente contro il governo giallo-verde presieduto da Giuseppe Conte, tanto da provocarne la caduta. Le cronache raccontarono di musica a tutto volume, cubiste che sgusciavano seminude tra gli ospiti, balli sui lettini e sulla spiaggia tra coppe ripiene di mojito (cocktail stralunante) e l’inno di Mameli che faceva da assordante colonna sonora. Altrettanto rovinoso il Papeete due questa volta organizzato proditoriamente da Giuseppe Conte che, scalzato da Palazzo Chigi, ha cumulato una dose incontenibile di rancore. Giudicati da “sballo” i suoi comportamenti, alla Camera e al Senato, sul decreto Aiuti (20 miliardi a favore di famiglie e imprese, pensioni e servizi tra cui l’inceneritore per Roma). L’ex premier Matteo Renzi c’è andato giù pesante proclamando che ormai Conte è un clown a fine carriera che non fa più ridere.

UN PUGNO DI MOSCHE. Questo sembra che ora Conte si ritrovi in mano. La grande stampa internazionale esprime riserve sulle sue decisioni, mentre c’è convergenza nel definire Draghi una “rara forza unificatrice, garante del Paese”. Al premier (dimissionario ma rinviato alle Camere da Mattarella) si riconosce una “reputazione di pragmatismo che non si vede spesso nella politica italiana”. Nota stonata, ma non sorprendente, lo straputiniano  Medvedev: con maligna soddisfazione mette in rete la foto dei dimissionari Johnson e Draghi con accanto una sagoma ombrata e un punto interrogativo come a chiedersi: chi sarà il prossimo?

GOVERNO O ELEZIONI? Non facile portare la legislatura alla scadenza naturale, febbraio 2023.Se al posto di Draghi servisse un “presidente-ponte”, non bisognerebbe andare troppo indietro per trovare precedenti significativi. Il ricordo va a Giovanni Leone. In due estati politicamente “infuocate” toccò a lui presiedere “Governi balneari” nel ’63 e nel ’68.La prima volta dovette lasciare la Presidenza della Camera dei Deputati: sacrificio per il bene del Paese compensato, poi, con la nomina a senatore a vita. Nel 1971 il napoletano Leone completò il cursus honorum con l’elezione al Quirinale.