Su e giù nell’ombra da quella interna all’esterna dall’impenetrabile sé all’impenetrabile non-sé di modo che né l’uno né l’altro come due rifugi illuminati le cui porte non appena raggiunte [impercettibilmente si chiudano, non appena volte le spalle impercettibilmente di nuovo si schiudano si accenni l’avanti e indietro e si volga le spalle noncuranti della strada, compresi dell’uno o dell’altro barlume unico suono passi inascoltati finché finalmente arrestarsi una volta per tutte, disattenti una volta per tutte all’uno e all’altro allora nessun suono allora impercettibilmente indissolvendosi la luce su tale inosservato né l’uno né l’altro l’inesprimibile meta (Samuel Beckett)
di Ugo Righi
Sono in piazza Dante a Napoli alle 8 di mattina di oggi 17 aprile 2020, in piena situazione di coronavirus.
Poca gente in giro (ovviamente) e con la mascherina.
Una giovane (credo) donna con un cane al guinzaglio, cammina velocemente, anche lei indossa una mascherina nera e occhiali scuri; mi guarda e io la guardo ma non ci vediamo. Non c’è nessuna emozione, forse un poco di curiosità, blandamente in allarme.
Dietro quella mascherina c’è un volto, chissà com’è.
Anche tutti gli altri che camminano per strada hanno mascherine con dietro volti e possibili espressioni.
Ma ora vedo solo questa interfaccia: la mascherina un diaframma tra i volti, una barriera, un muro, una chiusura, un confine, anche se non ostile.
Questo è un effetto collaterale tremendo di questa situazione, viene eliminato il principale, o almeno il primo, “strumento” comunicativo tra le persone: il volto.
L’individuo è nel volto, per chi lo guarda l’individuo è il volto. Le persone, quando s’incontrano, mettono in contatto il volto, con in gioco delle espressioni.
Il viso ci serve per esprimerci e per nasconderci, ora solo per nasconderci, anche se non vorremmo.
Quando si guarda un altro, il suo viso ci invia espressioni che noi traduciamo in segni e li combiniamo con i suoi silenzi e le sue parole e comportamenti per avere poi un senso e capire la relazione che c’è o che può esserci.
Si parte per forza sempre dal volto, leggendo le “parole” che in qualche modo vi sono segnate e ci portano a definirlo piacevole, antipatico, infido, aperto e così via.
La sua espressione è una anticipazione del comportamento, determina con più credibilità rispetto alle parole un sentimento di realtà che ci fa sentire e capire meglio come stanno le cose rispetto a qualcosa in atto nella relazione.
Il volto contiene una mappa che indica la personalità, gli atteggiamenti della persona; come disse Nabokov “il volto frutto di una selezione senza amore”, è uno spazio minimo che contiene l’anima e esprime la vita interiore.
Infatti il volto viene formato sia dal di fuori, dal tempo che passa, ma anche dal di dentro, dai pensieri, dalle emozioni dalla propria vita vissuta.
Il volto è una maschera mobile, la mascherina lo copre.
Il termine “smascherare” ora assume un significato ancora più complesso.
Le parole possiamo controllarle, le espressioni del volto e le emozioni che esprime è molto più difficile.
Ripassa la donna senza età con il cane, tento di indovinare: decido che è giovane e sta avendo una espressione amichevole