La penicillina e il difficile processo evolutivo dell’idea

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L’innovazione arretra, e così anche la produttività che da essa è alimentata, quando si fa difficile l’applicazione delle scoperte scientifiche di base e se vivono vite separate la ricerca accademica e quella condotta nelle imprese. Ne dà prova uno studio realizzato da Ashish Arora e altri. L’idea appena nata si trova nel campo Eureka dove essa viene celebrata. Scoperta, invenzione o altra creazione che essa sia, l’idea attraversa almeno tre stadi nel corso del suo processo evolutivo fino al traguardo finale che s’identifica con la sua realizzazione pratica. Nel primo stadio si fissa la creazione in vista della sua trasformazione in qualcosa di utile. Il secondo è il passaggio dall’idea finale al prototipo. Nel terzo, avviene la conversione del prototipo in un prodotto o servizio scalabile. Se nessuno si accorge dell’idea originale perché, per esempio, essa è nascosta nell’archivio dei brevetti o se il suo ideatore non è in grado di renderla utilizzabile, il processo evolutivo a tre o più stadi non si avvia. Discorrendo della scoperta della penicillina, Greg Satell descrive gli stadi evolutivi con le parole così da noi riassunte:
“Giacque sepolto in una rivista scientifica per dieci anni l’articolo di Fleming che era mal equipaggiato per trasformare la penicillina in qualcosa di utile. Il suo lavoro fu riscoperto da un team in grado di stabilizzare e sviluppare il processo di fermentazione per riprodurlo in maggiori quantità. L’OSRD, un’agenzia governativa incaricata della ricerca in tempo di guerra, comprese il potenziale della penicillina quanto fosse decisivo per lo sforzo bellico e, quindi, per superare le sfide avviò un programma aggressivo che coinvolse due dozzine di aziende farmaceutiche. Dopo la fine della guerra, nel 1945, la penicillina fu resa disponibile in commercio, il che segnò l’inizio di una ‘età dell’oro’ della ricerca sugli antibiotici, e quasi ogni anno, tra il 1950 e il 1970, furono scoperti nuovi farmaci”.

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