Da sempre, nel reparto Politica del Bazar delle Follie si recita la commedia Il puzzle del “tassa & spendi”, tanto raffinata per i politici che la recitano quanto dannosa per i contribuenti che vi assistono. Per quanto ancora quella recita sarà in cartellone? Il passaggio da un’economia del lavoro centrata sulla ricerca di un posto di lavoro all’economia dell’imprenditorialità focalizzata sulla ricerca di opportunità per varare imprese con alta aspettativa e alto potenziale di crescita è una Grande Trasformazione che esige di combinare i pezzi della tassazione e della spesa pubblica in modo tale da consentire quel cambiamento qualitativo. La combinazione deve essere tale da favorire il progresso trainato dalle opportunità rispetto a quello discendente dalla redistribuzione. Ciò potrebbe voler dire disegnare un nuovo puzzle la cui soluzione richiede meno pezzi di tassazione e di spesa pubblica. Il governo Cameron si è già mosso in questa direzione, tagliando la dimensione del governo dal 45,7% del Gdp nel 2010 a circa il 41% nel 2014, per scendere al 36% nel 2020. Per conseguenza, il numero dei posti di lavoro nel settore pubblico inglese si è ridotto di un milione. L’alternativa a un così drastico taglio quantitativo è una scelta qualitativa non meno dura: quella di ridefinire la spesa pubblica secondo criteri meritocratici, tagliando gli artigli ai rapaci portatori di interessi particolari che si appropriano di grosse somme di denaro pubblico. La condizione che rende politicamente tollerabile e quindi perseguibile nel tempo, con sistematicità, l’una o l’altra soluzione – o, ancora, una combinazione delle due – è che la politica e la società non siano affetti dalla sindrome “catch 22” per cui l’obbligo di ottenere risultati a breve, rende estremamente difficile accettare il vuoto abbastanza a lungo affinché si possano ottenere sul fronte della nuova imprenditorialità risultati tali da imprimere un’accelerazione alla crescita economica. Per non cadere in quella sindrome, politica e società dovrebbero sottomettere l’efficienza del conto economico che guardando ai risultati a breve soffoca l’innovazione all’efficacia del conto patrimoniale che si preoccupa della strategia per innovare. E la strategia è quella di creare imprese che siano “additive” , non una somma pari a zero, tale che un numero crescente di persone finiscano col dire “anch’io”, iniziando il cammino lungo il sentiero della nuova imprenditorialità che muta in cambiamenti discontinui quelli che altrimenti resterebbero nell’alveo dei cambiamenti incrementali che ostacolano più di quanto spingano la crescita.