La parola è irreversibile

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in foto quadro di Paolo Righi

di Ugo Righi

Una parola è morta Quando è detta
Molti dicono. Io dico
Che inizia proprio a vivere
Quel giorno

Non volevo, ma l’ho pronunciata quella parola che non volevo dire.
Spinto da un momento in cui l’autocontrollo si è indebolito per effetto di un’ipertensione delle arterie, l’ho detta.
“Quello che è detto è detto”.
“Fai conto che non l’abbia detto”, dico,ma non vale.
È stato detto e non c’è più nulla da fare.
Se cerco di modificare quello che non volevo dire in realtà lo alimento.
Correggere vuole dire aggiungere, perché parlando, parlo di quello che non volevo dire e quindi lo coltivo, pensando di volerlo cancellare sopprimere, minimizzare.
Mi rendo conto che tutto diventa balbettio che confonde prima di tutti me stesso.
Ci sono parole che non dovrebbero essere pronunciate perché bruciano e anche se le spegni, cancellano quello che hanno toccato.
Si deve stare attenti con le parole, sono fatti, sono concrete.
Occorre controllarle ed evitare che arrivino all’altro producendo altre parole che non vorrebbe pronunciare e che sono state causate da quella che è giunta alla sua mente.
Spesso le parole che non vorremmo dire generano parole che non vorremmo sentire e diventiamo artefici di confusione, di malintesi, di lontananze irrecuperabili.
È così: non ci sono regole di riparazione per l’irreversibilità della parola.
La maggiore competenza dell’esperto della parola è di saper rimanere in silenzio.