di Giuseppe Tranchese
Siamo ancora agli albori del processo di comprensione delle molteplici conseguenze negative, sulle generazioni a venire, del cambiamento alimentare ed ambientale che si è affermato a partire dall’era industriale. Sappiamo, però, quanto la nutrizione (insieme ad altri fattori quali stress, infezioni, infiammazioni, inquinamento, esposizione alla luce solare ecc.) possa incidere sulle modifiche di espressione del Dna – quindi sulle caratteristiche esteriori, biochimiche, fisiologiche e comportamentali – attraverso quel sistema di controllo dell’espressione dei geni, che è “al di sopra” dei geni stessi, chiamato epigenoma. Dunque, il genoma è fisso mentre l’epigenoma si modifica in base all’ambiente ed all’esperienza.
Sull’importante ruolo epigenetico della nutrizione possiamo acquisire formidabili informazioni dal mondo delle api. Tutte le api di un alveare hanno lo stesso DNA della regina, l’unica differenza è nella modalità di alimentazione: le api operaie ricevono la pappa reale solo nei primi tre giorni di vita, la regina fino all’età adulta. Le operaie sono di piccole dimensioni e sterili, con un’aspettativa di vita di poche settimane, la regina, invece, cresce quasi il cinquanta per cento in più rispetto alle altre, ha una longevità maggiore ed in una giornata di sole arriva a depositare fino a duecento uova. La dieta a base di pappa reale, infatti, induce cambiamenti nella metilazione di circa seicento geni che risultano diversamente espressi nelle due caste, dando persino luogo a diverse proteine.
L’ereditabilità delle modifiche epigenetiche è stata dimostrata anche nell’uomo. Basti pensare agli studi di acquisizione dei dati retrospettivi, condotti in vari paesi europei, che consideravano il lasso di tempo tra la seconda guerra mondiale ed il periodo post bellico, epoche in cui le gravi privazioni alimentari ed il conseguente carente apporto di nutrienti, hanno inciso profondamente sullo sviluppo armonico non solo degli individui viventi in quel periodo, ma anche delle progenie fino alla terza generazione successiva.
Senza entrare in un ambito specialistico nutrizionale, portiamo ad esempio solo alcuni dei numerosi nutrienti che occupano un ruolo di controllo dell’espressione dei geni quali la colina, la vitamina B12, i folati, lo iodio, lo zinco, il ferro, abbondanti nelle uova, nel pesce, nella carne e nelle verdure a foglia. Anche la Vitamina D, vero e proprio ormone, regola l’espressione del genoma umano con serie conseguenze in caso di suoi squilibri, sia in difetto che in eccesso.
Ne consegue l’importanza di consumare cibi freschi e soprattutto minimamente processati che, oltre a fornire un apporto di nutrienti qualitativamente ottimale, riduce molto i processi ossidativi e la conseguente infiammazione cronica. Quest’ultima viene contrastata anche dalla riduzione del consumo di zuccheri, di olii vegetali e dalla minimizzazione dell’uso di additivi emulsionanti ed edulcoranti. Assumere la giusta, individuale e bilanciata, quantità di alimenti ricchi in fibra, ridurre l’uso di antibiotici e rispettare i normali ritmi circadiani (veglia-sonno), aiuta a regolare anche il microbioma, ossia l’insieme dei microrganismi che vivono in simbiosi con noi sulla pelle e sulle mucose della bocca, del naso e dell’intestino il cui patrimonio genetico supera di circa cento volte il nostro ed ha un ulteriore e fondamentale ruolo di controllo sulla nostra espressione genica.
Non sarà stato certo un caso che circa quattrocento anni a.C. Ippocrate di Kos postulasse: “Sia il cibo la tua salute”.