La mia scoperta di Napoli dopo la guerra. Quante meraviglie in quel Vomero che non esiste più

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In foto I giardini di Villa Belvedere al Vomero

di Maria Carla Tartarone Realfonzo

Ho deciso di ricordare brevemente i luoghi che ho attraversato nella mia vita perché mi sono parsi tutti interessanti così che dopo molti anni ho voluto ricordarli.

Sono nata a Verona dove appena sposati i miei genitori vi presero alloggio, in via della Pace, in una graziosa villetta non lontana dalla splendida antica Arena. Trasferiti a Milano qualche anno dopo, vi rimasero finché un bombardamento, si era nella seconda guerra mondiale, distrusse una palazzina accanto alla nostra e così mio padre, giovane militare, ci condusse sul lago di Como, nella tranquilla Dorio. Quei luoghi, che ricordo, mi piacquero: il lago, il panorama verso la città di Como, tra la spiaggia di ruvida ghiaia e i prati sulle colline, verso i monti. Dorio era ospitale, si estendeva lungo un viale in lieve discesa. La Chiesa in cui ci si raccoglieva la domenica, sorgeva su una scalinata dove si apriva l’ampio sagrato, in cui si raccoglievano le famiglie con i bambini e ricordo un’amica, Imelda, che abitava di fronte alla mia casa e che incontravo anche quando giocavamo con un’altalena che attraeva noi piccoli e ricordo anche una signora che gentile un giorno mi disse: “I buoni muoiono prima”. Si riferiva a mio padre che trentenne era appena morto.

Dopo poco i miei nonni, genitori di mio padre, lui questore di Torino, ci ospitarono per alcuni mesi finché mia mamma non ebbe Paola, la sua ultima bambina. Abitavamo in un bellissimo viale alberato, viale Vinzaglio, ma faceva tristezza perché spesso giungeva un prete a benedire alcuni cadaveri che giacevano sotto gli alberi, per le violenze della guerra, e li portava via sistemandoli su una carriola. L’atmosfera grigia concedeva raramente di uscire sui balconi o di affacciarsi alle finestre. Comunque Torino era una bella città, sempre in ordine e noi più grandi andavamo anche a scuola.

Dopo qualche tempo i nonni ci spinsero a partire per Napoli dove vivevano i parenti di mia mamma, in Piazza Vanvitelli, al Vomero, dove le giovani sorelle ci accolsero liete, volentieri. Era un tempo in cui, finita la guerra, i vittoriosi soldati che vivevano in città, credo americani, si occuparono anche di mia madre, giovane vedova con cinque bambini, e le offrirono di occupare una disabitata, panoramica casa in via Aniello Falcone. E non fu tutto qui. Per noi bambini si preoccuparono anche dei collegi che ci avrebbero ospitato. Mio fratello Carlo ed io andammo in Convitto a Spoleto. Gli altri, Silvia e Massimo, (che poi completò gli studi alla Nunziatella di via Monte di Dio, dove era stato anche mio padre col suo gemello) rimasero nei collegi di Napoli.

Spoleto è una città ricca di Storia. I ragazzi erano accolti in collegio in un antico convento, dove andò Carlo. Per le ragazze era stato costruito un convitto adeguato, una grande nuova costruzione vicina al campo sportivo, ai giardinetti e al “Liceo Pontano-Sansi” che poi avrei frequentato. Ricordo anche “il ponte delle torri”, molto dominante, che nelle passeggiate raggiungevamo spesso. Nella parte bassa e più antica della città vi è lo straordinario Duomo, costruito e consacrato nel 1198, dopo le distruzioni del Barbarossa nel 1155. Nella sua grande piazza, cui si accede da una suggestiva scalinata circondata da costruzioni medioevali, si conservano anche i resti di un ottocentesco teatro dove andavamo, per assistere a concerti, “Il Caio Melisso” costruito nel 1880. Vi si svolsero anche alcune manifestazioni del “Festival dei due Mondi”, create da Gian Carlo Menotti nel 1958, così detto perché l’autore viveva anche nel mondo degli Stati Uniti. Il Ducato di Spoleto si ricorda anche perché quel territorio fu conteso da molti nobili legati al Papa e ai suoi vassalli germanici. Le origini del ducato risalgono circa al 591. Dal nostro Convitto, uscivamo, accompagnate dalle Istitutrici, per andare alla Scuola Media, verso il centro, la mattina per tempo. Il pomeriggio nell’ora di ricreazione, andavamo verso luoghi ameni nei dintorni del Collegio, che ricordo ancora. Del centro ricordo una ripida strada, di origine medioevale, lungo la quale si aprivano numerosi negozi ed anche diversi Cinema e Sale ospitali per concerti e conferenze. Nelle vicinanze del collegio ricordo la passeggiata verso “Il giro del Ponte”, il ponte straordinario cui ho accennato, che collega due alture rilevanti: il Colle con i castelli e il dominante Monte Luco. Non ho mai visto un ponte così lungo ed alto, tra due monti: su un versante c’è un antico Castello medievale e sull’altro lato il boscoso Monte Luco, con un convento a mezza altezza, che raggiungevamo alla base, per poi ritornare, dopo esserci fermate alla Chiesa di San Pietro, di origine trecentesca, su di una collina a mezza strada dal nostro Collegio. Talvolta invece attraversavamo i giardini, accanto al Convitto, dopo un viale alberato che conduceva in collina al sito dei Cappuccini. La domenica, nel pomeriggio spesso si andava in centro, per andare al cinema o verso i luoghi dei concerti o delle conferenze scelte che a noi interessavano molto e che oggi ricordo con affetto.

Per le vacanze natalizie o estive venivo a Napoli, una città che da adolescente non ho mai conosciuto, solo il Vomero, in cui mi spostavo per andare dagli zii o dai nonni che erano tornati a Napoli, in via Ligorio Pirro, dopo le tristezze della guerra, a causa della quale avevano perso due figli gemelli. Naturalmente Napoli mi parve una città bellissima, ricca di luoghi panoramici, di chiese attentamente conservate, di viali, di piazze storiche sempre da scoprire. La Storia di questa città è straordinaria, da studiare attentamente, un luogo invidiato da civiltà estranee, in tutti i secoli, dal Medioevo al Rinascimento al Settecento, fino ai tempi recenti, per il cui possesso lottarono diversi popoli, nei vari secoli.

Quando arrivammo a Napoli, da Torino, mio fratello Carlo ed io avevamo intorno ai sei anni, gli altri fratellini più piccoli stavano in casa ma noi due ben presto imparammo a conoscere il Vomero.  Arrivammo a Napoli a metà degli anni Quaranta ed andammo ad abitare, come ho detto, in via Aniello Falcone. A noi bambini piaceva stare sdraiati, fuori al nostro panciuto balcone, con tanto sole ed un vasto panorama in cui vedevamo anche Capri, Posillipo e tanti alberi guardando le auto che sfilavano lungo la strada fino al bivio di via Tasso. Quando uscivamo stavamo attenti perché sotto casa, veloce e sferragliante, passava anche il tram 28.  Sotto casa avevamo anche una stradina in salita, tutta ciottoli, che portava su, alle spalle, alla Villa Belvedere, un luogo, che nei secoli passati con il viale pieno di alberi ed in fondo un’ampia costruzione panoramica, che dava sulla via Aniello Falcone, doveva essere meraviglioso. Sotto casa si apriva anche il viale che scende alla Villa Diaz-Presenzano, sito concesso dallo Stato al Generale per le sue vittorie, strada, dove poi si aprì il Ristorante “Le Arcate”. Noi bambini frequentavamo il lungo viale perché vi abitava una famiglia, con i piccoli Antonio e Anna Maria, che curava attivamente un’ampia coltivazione di fiori di garofani negli ampi ripiani che si stendevano lungo la collina. Per andare dai Nonni e dagli altri parenti, verso il Vomero, dovevamo percorrere via Aniello Falcone verso il Ristorante D’Angelo, di fronte alle scalinate di San Francesco che ci portavano alla Chiesa da noi frequentata per anni, e poi a via Luca Giordano, dove più avanti c’era il Cinema Diana che ci incantava con le sue immagini fotografiche che raccontavano il film del momento.  Vedevamo luoghi molto belli, sia la Chiesa che le scale che ci conducevano al centro del Vomero. Arrivati a via Scarlatti, andavamo a Scuola, alla “Domenico Morelli”, situata in una villa amena, che aveva una scalinata che conduceva al giardino che occupava tutta la strada ora occupata dai palazzi di via Merliani, fin quasi a via Scarlatti.  Per andare dai nonni, svoltavamo, prima del Cinema Diana , in via Cimarosa, dove vedevamo i cancelli della Villa Floridiana, allora noi bambini non potevamo entrarvi se non eravamo accompagnati, e proseguivamo lungo la strada fino ad arrivare al punto in cui  si congiungeva la via della Santarella, altra strada panoramica che finisce al Corso Vittorio Emanuele. Noi proseguivamo verso la Funicolare Centrale e poi, dopo una scalinata, in salita, verso la Funicolare di Montesanto, proprio all’inizio della via Ligorio Pirro, dove i nostri nonni abitavano in fondo alla strada, in un palazzo con giardino molto vasto, preceduto da un terrazzo molto ampio che dava luce a tutto il secondo piano, dove abitava lo zio Luigi, fratello di mia nonna. In fondo alla strada comincia la salita che conduce più in alto fino a raggiungere i due famosi castelli, Sant’Elmo e San  Martino che chiudono la collina del Vomero. Ora  i luoghi dei miei nonni non esistono più ma esiste ancora attivissima la Funicolare di Montesanto, all’inizio di via Ligorio Pirro, che dal Vomero alto ci conduce rapidamente in basso, al centro della nostra straordinaria città, nei pressi di via Toledo.