La mappa della solidità strutturale delle imprese italiane

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di Ugo Calvaruso

La crisi pandemica ha messo in luce l’eterogeneità del sistema produttivo italiano. Secondo il rapporto 2021 dell’ISTAT, le imprese italiane, con almeno tre addetti, possono essere divise in 4 categorie: solide, resistenti, fragili e a rischio strutturale.
Le imprese cosiddette “solide”, che rappresentano l’11% in Italia e in termini di occupazione il 46,3%, sono quelle aziende in grado di reagire in modo più strutturato a una crisi esogena (ossia esterna e imprevedibile, come la pandemia).
Il restante gruppo delle imprese sono:
● quelle resistenti, le quali sono in grado di limitare la propria esposizione alla crisi, presentando però elementi di vulnerabilità, e rappresentando il 19% sul totale delle imprese e 17,9% in termini di occupazione;
● quelle fragili, che risultano colpiti dalla crisi, pur non evidenziando un rischio immediato e rappresentano il 15,2% e il 9,4% in termini occupazionali;
● quelle a rischio strutturale, che sono state messe a repentaglio e rappresentano rispettivamente il 44,8% delle imprese totali e il 20,6% dell’occupazione.

Le principali caratteristiche “strutturali e comportamentali delle imprese” (Istat, 2021) prese in esame sono la dimensione, il settore, la produttività (cioè il valore aggiunto per addetto), la propensione all’export, la retribuzione media dei dipendenti, o anche gli investimenti in capitale umano, relazioni produttive interaziendali, innovazione, R&S e digitalizzazione.
Alcuni fattori come la dimensione e il settore assumono un ruolo “rilevante” nell’ambito della categorizzazione. Di fatto, le imprese di piccole dimensioni risultano essere più fragili (intorno alla metà infatti hanno 3-9 o 10-49 addetti) o, addirittura, a rischio strutturale (più del 50% hanno tra i 3 e i 9 addetti e il 20% tra i 10 e i 49 addetti). Mentre, la maggior parte delle medie o grandi unità produttive possono essere definite imprese resistenti (rispettivamente 20,2% e 8,2%) o solide (65,4% e 84,7%). In aggiunta a ciò, oltre il 96% delle imprese di maggiore dimensione (con almeno 250 addetti) e oltre il 77% di quelle medie (da 50 a 249 addetti) presenta caratteristiche di solidità.
Altri fattori che hanno un’importante rilevanza per rendere le imprese solide o resistenti sono la qualità, oltre che la quantità, di investimenti sul capitale umano, ricerca e sviluppo e digitalizzazione, soprattutto in riferimento al settore industriale. Anche il raggiungimento di livelli di produttività superiori alla media settoriale rappresenta un elemento di fondamentale importanza per rendere le imprese solide o, meglio ancora, competitive sul mercato.
Per definizione l’Italia è il paese caratterizzato da una mappa costellata di piccole e media imprese. Data questa morfologia, tanto unica quanto particolare, rispetto ad altri paesi dell’Occidente, la nostra struttura industriale rischia di essere penalizzata, in quanto più fragile e a rischio strutturale. Bisogna, pertanto, essere in grado di investire strategico in ricerca e sviluppo, introdurre nuove tecnologie e, soprattutto, formare e sviluppare il capitale umano.
Tutto ciò va accompagnato da un cambiamento culturale, il quale va messo in moto per poter supportare la riconfigurazione di una nuova concezione di impresa, la quale prevede una realtà interconnessa e ottimizzata, oltre che di rete, che sviluppi i nostri distretti e le nostre filiere.
La tecnologia non è più soltanto uno strumento ma diventa così uno dei pilastri fondamentali per sviluppare una maggiore competitività e creare una rete interconnessa, una costellazione del valore o, meglio ancora, ecosistemi produttivi e funzionanti. Ma, alla tecnologia va associata la capacità di progettare e costruire infrastrutture relazionali.
Le politiche di sviluppo devono pertanto supportare la trasformazione digitale, la transizione verde e il cambiamento culturale delle nostre imprese. Di fatti, questi temi sono alla base degli obiettivi delle politiche europee, ripercorse nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma che dobbiamo essere in grado di trasformare in pratiche.