Come si articola la libertà di scelta, in un ambito, quello della sanità, nel quale le cure di tutti sono pagati coi soldi di tutti? Governo e parlamento stanno lavorando al recepimento
Come si articola la libertà di scelta, in un ambito, quello della sanità, nel quale le cure di tutti sono pagati coi soldi di tutti? Governo e parlamento stanno lavorando al recepimento della direttiva europea che garantisce la regola generale del rimborso delle cure mediche transfrontaliere. Da più parti la libertà di scelta del luogo di cura viene spinta agli angoli del perimetro di azione della pubblica amministrazione. Da un anno, la regione Campania ha approvato un decreto che richiede una autorizzazione preventiva per alcuni tipi di interventi e diagnosi di bassa complessità, prima che i pazienti possano rivolgersi a strutture ospedalieredi altre Regioni. Qualche giorno fa, il Consiglio di Stato ha emesso una sentenza che giustifica il mancato rimborso di spese mediche estere nel caso in cui un istituto medico italiano certifichi la possibilità di offrire cure altrettanto idonee di quelle garantite all’estero. Non è detto che iniziative come quella campana siano, sotto il profilo giuridico incompatibili con la nuova direttiva comunitaria. Una riflessione meno tecnica e più attenta alle esigenze, anche psicologiche, dei malati lascia tuttavia qualche perplessità in merito al solco che si viene a scavare, tra l’astratta disponibilità del diritto alla salute, e la realtà di un’amministrazione discrezionale. L’espressione turismo sanitario non offre la giusta percezione di cosa voglia dire doversi spostare per curarsi. E’ poco verosimile che persone le quali già affrontano un periodo difficile, facciano una scelta impegnativa quale quella di recarsi all’estero per motivi terapeutici con lo stesso animo di svago e curiosità con cui si viaggia per turismo. Curarsi all’estero non è una vacanza, ma una scelta precisa. E’ proprio quando non capiscono più il proprio Paese, quando disapprovano e temono le scelte del suo governo, quando sentono di non poter fare altrimenti insomma, che le persone “votano con i piedi”. Quando a votare con i piedi sono i malati, sarebbe più utile chiedersi cosa non funziona nel sistema sanitario che li ha indotti a spostarsi altrove – anziché stigmatizzarne il comportamento, in ragione di chissà quale dovere di lealtà ai patri nosocomi. Il diritto alle cure non può essere un obbligo di farsi curare dove lo Stato vuole. Si potrà replicare che non vi è ostacolo a che l’assistito si curi comunque all’estero a sue spese. Si ripete spesso che la spesa sanitaria italiana è sotto la media dei paesi Ocse. Ciò non toglie che ognuno di noi paga in media ogni anno l’equivalente di un discreto stipendio di più di un mese perché il sistema sanitario, con tutti i limiti e i problemi noti, possa andare avanti. 2300 euro (3102$ secondo i calcoli Ocse 2013, su un reddito pro capite che nel duemiladodici era di 29.812$) di spesa pro capite annua per l’assistenza sanitaria rappresentano un costo poco compatibile con l’idea di scegliere in libertà e autonomia dove curarsi. Se oltre a questo non secondario dato dobbiamo anche sacrificare il desiderio di farci curare da chi scegliamo noi, sembra lecito chiedersi cosa resti di quel grande mantra dello stato sociale che è il diritto alla salute. Da www.brunoleoni.it