La lezione di Jannacci: Per fare certe cose…

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I dati illustrati in settimana dalla Svimez e poi dall’Istat – ampiamente riportati da tutti i giornali – non fanno che confermare quello che gli osservatori già sapevano: l’Italia si sta definitivamente spaccando in due. Economicamente parlando, soprattutto. A fronte I dati illustrati in settimana dalla Svimez e poi dall’Istat – ampiamente riportati da tutti i giornali – non fanno che confermare quello che gli osservatori già sapevano: l’Italia si sta definitivamente spaccando in due. Economicamente parlando, soprattutto. A fronte di un Centro-Nord che comincia a rivedere la ripresa, il Sud continua ad arretrare inanellando sei anni consecutivi di recessione cui ne seguiranno certamente altri due con effetti devastanti sul tessuto industriale e su quello sociale. Consolarsi con le eccezioni – i piccoli grandi sforzi quotidiani di chi resiste, le iniziative innovative che qua e là pure si fanno notare – non cambia lo stato delle cose: precipitano i consumi, la produzione crolla, crescono disoccupazione e povertà. I valori fondamentali dell’economia campana e di gran parte delle regioni meridionali sono peggiori di quelli misurati in Grecia nei giorni della grande depressione e dei moti di piazza che hanno accompagnato gli aggiustamenti che si sono resi necessari. La differenza è che qui sopravvivono gli ammortizzatori sociali (per quanto tempo ancora?) e in modo così massiccio che sarebbe facile affermare come l’Italia si sia trasformata da una Repubblica fondata sul Lavoro a una Repubblica fondata sulla Cassa integrazione. Le cartine al tornasole più convincenti sono due: gli investimenti nazionali ed esteri che si tengono lontani e i giovani che abbandonano il campo con sempremaggiore convinzione alla ricerca di una fortuna che sanno qui inutile cercare. Dalla crisi alla desertificazione il passo è breve. Prima scompaiono i centri decisionali, poi i capitali, quindi gli stabilimenti, infine le persone. In una progressione impressionante che nulla e nessuno riesce a fermare. E intanto c’è chi ricorda come ci siano miliardi, tanti miliardi soprattutto rinvenienti dall’Europa, da spendere in infrastrutture e attività che siano capaci di innalzare la capacità competitiva del territorio e dei suoi attori. Perché mai le opportunità che tutti riconoscono esistere a parole non si traducono in fatti? Per fare certe cose ci vuole orecchio, cantava Enzo Jannacci. Per farne altre, quelle legate alla crescita, ci vuole molto altro. Per esempio, una classe dirigente.