La giurisdizione condizionata: un modello deflattivo del contenzioso

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Il diritto d’azione, cristallizzato nell’articolo 24 della Costituzione, consente a tutti la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. Al di là dell’enunciazione dei princìpi indeclinabili del giusto processo, la vera difficoltà per il Legislatore italiano consiste nel garantire i suddetti diritti con un’ organizzazione di servizi efficiente. Questo obiettivo non è facile da raggiungere in quanto nel secolo scorso c’è stata un’esplosione di diritti individuali e collettivi, la quale ha comportato un esponenziale aumento di pretese azionate dinanzi ai giudici. Il sovraffollamento delle corti giudiziarie dipende altresì da una cronica sfiducia del cittadino italiano nei confronti delle autorità che induce ad elaborare controlli sulle decisioni giudiziarie in maniera maggiore che altrove e ad inspessire le garanzie formali. La logica conseguenza dell’eccesso di contenzioso e dello stucchevole garantismo processuale sono l’allungamento dei tempi per ricevere giustizia ed un accumulo di arretrato. Visto e considerato che lo Stato non può spendere per la giustizia più di quanto attualmente spende (percentuale di bilancio in linea con la media europea), è giocoforza che i governi si industrino in esercizi per ovviare ai malanni della nostra giustizia con il cambiamento delle regole processuali. 

E’ questo il caso della Giurisdizione condizionata, espressione con la quale ci si riferisce all’ipotesi in cui il Legislatore vincola la proponibilità della domanda giudiziale al rispetto di una condizione o di un evento che si verifichi prima e al di fuori dell’introduzione del processo. Numerosi dubbi sono stati sollevati circa la compatibilità di questa prassi con l’articolo 24 della Costituzione. A questi dubbi ha risposto la Corte Costituzionale, la quale con una consolidata giurisprudenza ha stabilito che tale pratica è possibile purchè vengano rispettati due requisiti: il condizionamento del diritto d’azione deve essere posto al fine di soddisfare un interesse pubblico sovraindividuale (soprattutto se collegato ad una corretta funzionalità del sistema giustizia ed alla funzionalità del processo); tale condizionamento non deve rendere gravoso o impossibile l’esercizio del diritto d’azione. 

Con il decreto legislativo 28/2010 il Governo italiano ha tradotto nella pratica le teorie di cui sopra. Tale provvedimento obbliga i difensori di avvertire i propri clienti della possibilità di fare ricorso 

alla mediazione e, per le materie in cui il tentativo è obbligatorio, che la lite non avrà inizio se prima non sia stato infruttuosamente esperito. L’introduzione dell’obbligo di mediazione in Italia deriva, ad onor del vero, da un’esigenza avvertita a livello Comunitario già nel lontano 2008: con la Direttiva CE 52/2008 si prevedeva la mediazione obbligatoria, sia pure limitatamente alle controversie transfrontaliere. Da ciò il nostro Legislatore ha preso spunto per delegare al Governo l’emanazione di un decreto avente ad oggetto il condizionamento dell’azione giudiziaria. La lettera di tale decreto prevede nei numerosi articoli dei quali consta: che il procedimento si deve esaurire in tre mesi a far tempo dal deposito della domanda presso la cancelleria del giudice adito, che la domanda di mediazione deve contenere una generica indicazione della pretesa, che deve essere garantito il rispetto del contraddittorio tra le parti. E’ imposta altresì l’assistenza di un avvocato per ciascuna parte. Organismi di mediazione possono essere sia enti iscritti in pubblici registri previa valutazione del Ministro della giustizia sia organismi istituiti dai Consigli dell’ordine degli avvocati o anche da altri consigli dell’ordine professionali. Il procedimento, ovemai dovesse concludersi con accordo amichevole, darebbe vita ad un atto il quale, a determinate condizioni di legge, costituisce titolo per l’eventuale esecuzione forzata e per l’iscrizione di ipoteca sui beni del debitore. In caso di mancato accordo, il mediatore può formulare, di sua iniziativa o su richiesta delle parti, una propria proposta conciliativa. Se non dovesse essere accettata neanche tale proposta, si procede alla redazione di un verbale negativo con ripercussioni sulla condanna al pagamento delle spese processuali in base al principio della causalità. 

Premesso che tutte le controversie relative a diritti disponibili sono suscettibili di mediazione, l’articolo 5 del suddetto decreto individua analiticamente le materie non passibili di mediazione. Le esclusioni riguardano i procedimenti di consulenza tecnica preventiva di cui all’articolo 696 bis del codice di rito civile, i procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. Sono inoltre esentati dalla mediazione i procedimenti per convalida di licenza o sfratto, quelli possessori, quelli presi in camera di consiglio ed infine quelli relativi all’azione civile esercitata in sede penale. 

E’ doveroso altresì menzionare che, con forme sostanzialmente mutuate dalla disciplina sulla mediazione, il Governo ha introdotto con decreto legge 132/2014 l’istituto della negoziazione assistita. 

Questa ulteriore forma di deflazione del contenzioso permette di affidare la risoluzione della lite alla capacità professionale di uno o più avvocati ai quali le parti si rivolgono per essere agevolate nel raggiungimento di un accordo in via amichevole. La domanda deve essere proposta in forma scritta a pena di nullità e, come è facile intuire, non è necessario l’intervento di alcun organismo di mediazione. Necessaria è solo l’assistenza di avvocati iscritti al relativo albo professionale. Ferme le esclusioni nelle stesse materie della mediazione, il procedimento deve avere una durata non inferiore ad un mese e non superiore a tre mesi, prorogabili di ulteriori trenta giorni. Il suddetto tentativo deve inoltre concludersi con accordo che, se sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione ad ipoteca giudiziale. 

Mediazione e negoziazione assistita sono solo due esempi dei tanti filtri processuali imposti dal Legislatore. L’istituto della giurisdizione condizionata, osteggiato da buona parte della dottrina, deve essere però letto come un inevitabile strumento per risolvere un vero e proprio cancro per la giustizia italiana. I cittadini, specialmente gli operatori del diritto, devono guardare con assoluto favore questi provvedimenti, in quanto sono gli unici che attualmente permettono ai tribunali italiani di lavorare in maniera efficiente e produttiva, svincolandosi dalla palude costituita da arretrato e contenzioso bagatellare.