La Fenice di Venezia ricorda con “Aquagranda” l’alluvione del 4 novembre 1966

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Per i veneziani che abitano il fragile arcipelago l’acqua alta non è altro che la marea che puntuale, ogni sei ore, entra ed esce dai tre varchi sull’Adriatico. La cronaca ci riporta alla mattina del 4 novembre 1966 quando l’acqua alta non accennava a calare e i veneziani attendevano con ansia l’ultimo deflusso della sera per tirar un sospiro di sollievo, ma, alle 18.00, l’acqua crebbe ancora, fino a che il mareografo di Punta della Salute registrò quota 194 cm; era la più alta acqua mai segnalata dai tempi delle rilevazioni del fenomeno. L’acqua invase le città della Serenissima e con esse sconvolse per sempre la vita di migliaia di veneziani.
A cinquant’anni esatti dalla tragica alluvione, il Teatro la Fenice inaugura la stagione 2016/2017 con una prima assoluta, “Aquagranda”, ricordando, così, i drammatici eventi. L’opera è tratta da “Aquagranda, il romanzo dell’alluvione” di Roberto Bianchin, racconto ispirato ad una storia vera. Lo scrittore veneziano, infatti, rievoca la vicenda umana di Ernesto Ballarin e della sua famiglia, una vicenda soggettiva, ma proprio per questo, talmente individuale e personale da essere al tempo stesso anche parte di una vicenda collettiva. Siamo a Pellestrina, la piccola isola della Laguna Veneta, il mare spinto dal vento di scirocco che viaggia a 130km/h, colpisce e infrange le dighe e i bastioni, gli storici Murazzi, che da circa due secoli sorvegliano e proteggono la Serenissima. La famiglia Bianchin insieme ad altri membri della comunità lagunare assiste impotente all’incedere incessante dell’acqua che come una furia travolge, indistintamente insieme alle cose, le loro vite.

A dare corpo e voce alla piccola comunità lagunare, rappresentata dalle figure dei pescatori Fortunato, Ernesto e Nane, del farmacista Luciano, del maresciallo Cester e delle donne Leda e Lilli, un cast d’eccezione composto da Andrea Mastroni, Mirko Guadagnini, Giulia Bolcato, Silvia Regazzo, Vincenzo Nizzardo, William Corrò, Marcello Nardis. Ogni personaggio, prima della sciagura, conserva una vocalità propria, ben distinguibile, poi, le voci, travolte dalla marea, diventano un tutt’uno, espressione di un unico tragico sentire. Nella regia di Damiano Michieletto, la parola così come l’onda avanza pian piano, poi si fa pressante, ingombrante; la lingua alterna italiano e dialetto, quest’ultimo più vivo e musicale contribuisce al realismo dell’azione. Ai sette protagonisti se ne affianca un ottavo, il coro, vero e proprio protagonista della scena. Il coro, infatti, distribuito ai lati del proscenio, proteso verso il pubblico, sul golfo mistico, riacquista la sua funzione da tragedia greca e implacabile sottolinea e commenta con frasi frammentate, smorzate, il dramma che si sta compiendo.
La partitura, ruvida ed irregolare, è frutto del compositore trevigiano Roberto Perocco. La musica, ispirata ai suoni dell’acqua e del lavoro lagunare, procede per sottrazione: un suono fatto di pochi cenni, ma che riesce a rievocare e riproporre distintamente le atmosfere e le sensazioni di quei tragici momenti. Ad interpretare la musica l’Orchestra del Teatro La Fenice diretta dal Maestro Marco Angius.

La scenografia curata da Paolo Fantin è di forte impatto: una gigantesca parete trasparente occupa tutto il palcoscenico. In circa 45 minuti il muro si riempe d’acqua mentre su di esso scorrono le immagini dell’isola di Pellestrina di ieri e di oggi create da Carmen Zimmermann e Roland Horvath. Nel momento dell’infrangersi dei Murazzi, la parete esplode ed una cascate incessante in appena due minuti inonda e sommerge lo spazio, le cose e le persone.
“Aquagranda” vuole essere un monito di speranza nel futuro, un’esortazione a resistere nonostante tutto. L’invito si palesa dapprima nelle parole di Fortunato, quando tutti scappano, infatti, il vecchio pescatore canta: “No ghe xe scampo…mi go da restar parché me lo comanda el cor” e si conferma sul finale, quando, passata la piena, Fortunato, Ernesto e i sopravvissuti continueranno a voler vivere nella loro terra e proteggerla. “Aquagranda” è una scommessa vinta, soprattutto in tempi in cui si annuncia da ogni parte l’imminente fine dell’opera.