La cucina , un bene culturale antichissimo e sempre in evoluzione

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Firenze, presentazione della Guida ”I Ristoranti e I vini d’Italia“ de l’Espresso.
Un appuntamento che ogni anno si ripete con un rituale preciso: presentazione e ringraziamenti, premiazione dei migliori tra ristoranti, ristoratori e cuochi, e poi finalmente, la degustazione di vini e la grand bouffe per tutti. Alla fine felici, satolli ed anche un po’ brilli gli invitati alla kermesse tornano a casa. Qualche riflessione s’impone: la figura del cuoco si allontana sempre più dai connotati divistici di alcuni primi della classe d’una volta come Cracco, Cannavacciuolo, Annie Feolde, Vissani ecc, che sono archiviati nel museo dei cappelli d’oro e non si toccano più. Come I Super Quattro di italica musical memoria. Avanza l’ispirazione un po’ ascetica e quasi rituale di Massimo Bottura e Giuseppe Iannotti del campano Kresios, e delle nuove madame della cucina come Chiara Pavan e Rosanna Marziale. Tutto cambiò agli inizi degli anni 2000. Chiunque si occupi del settore percepisce a pelle che tutto sta cambiando di nuovo, ed il nuovo è sommessamente prepotente.
Come vogliamo chiamare questo fenomeno? Che piaccia o meno, che scandalizzi o esalti, si tratta di un insieme di saperi, opinioni, credenze, costumi e comportamenti che caratterizzano un preciso gruppo umano a noi contemporaneo. Ehi, questa è cultura. Non è cosa nuova. E’ una delle infinite sfaccettature che hanno identificato la cultura di ogni tempo. La cucina provoca emozioni a chi la gusta e a chi la esegue, evoca, interpreta ed emoziona. Il nostro mondo che vive molto sui social quando si tratta di cucina trova necessario provare in prima persona. Meno male, senso del gusto batte social torpore. Il culto del vino, vecchio quanto il mondo ci parla di prodotti ed attività che più nostri non potrebbero essere, il cui sviluppo ha accompagnato l’evoluzione dell’uomo. La cucina, la nostra cucina italiana è indissolubilmente legata al settore agroalimentare. Invochiamo la matematica? Per la proprietà transitiva se la cucina fa parte della nostra cultura e l’agroalimentare è alla base della nostra cucina, c’è poco da discutere: L’agroalimentare è cultura. La prof di matematica sia soddisfatta.
La rappresentazione del cibo è sempre stata una delle tematiche più ricorrenti nella storia dell’arte. Nutrirsi non era soltanto un atto quotidiano essenziale, ma anche un fattore che connotava lo status quo del soggetto rappresentato; in epoca romantica, ad esempio, i grandi Signori si facevano rappresentare davanti a sontuosi banchetti, in un tripudio di forme e olori. Arcimboldo riprende il cibo sotto diversi aspetti e in maniera molto originale coniuga l’arte figurativa con il cibo.
La frutta, la verdura e i fiori sono esclusivamente forme e colori che vanno a comporre la figura umana. Nel febbraio 2015 un ottima degustazione d’arte fu offerta al pubblico presso Palazzo Martinengo, dimora storica sede della Provincia di Brescia con la mostra “Il cibo nell’arte. Capolavori dal ‘600 a Warhol” Il connubio tra arte figurativa ed arte culinaria fu raccontato attraverso opere che vanno dal 1600 al 1900 secondo una ripartizione cronologica ed iconografica: l’allegoria dei cinque sensi, mercati dispense e cucine, la frutta, la verdura, pesci e crostacei, selvaggina da pelo e da penna, carne salumi e formaggi, dolci vino e liquori, tavole imbandite e il cibo nell’arte del XX secolo. Qualsiasi mostra permanente o temporanea può usare il cibo, i prodotti del nostro tetrritorio quale legame con i visitatori, anzi dovrebbe farlo e non solo per fare cassetta. Si raggiungerebbero così due obbiettivi: promuovere l’arte attaraverso il cibo e viceversa suscitare una sempre maggiore autoidentificazione col territorio di un pubblico che deve essere orgoglioso della produzione artistica quanto di quella agroalimentare in quanto tutti beni culturali figli di una stessa madre.