La credibilità dei politici in fumo con i boschi

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Dopo il fuoco, l’acqua: nel senso di siccità. Dalla realtà alla metafora il passo è breve. Con i boschi brucia di tutto, anche la politica, sia interna che internazionale. E incenerisce lo stesso ideale europeo, di cui pure i più, qualche mese fa, con le elezioni di Emmanuel Macron all’Eliseo, hanno scoperto di avere vivo. Sbagliando, è chiaro.
Insomma, contro gli incendi manca l’acqua. Con la calura estiva si sono prosciugati infatti tutti gli invasi, a cominciare da quelli della ragione, che prima ancora di essere utilizzati per spegnere fiamme e sete, dovrebbero irrorare di buon senso politici e cittadini. Né aiutano, allo scopo, i media – con le televisioni e i social in testa – impegnati a rilanciare luoghi comuni e facili spettacolarizzazioni anziché studiare i dati. A proposito della siccità, per esempio, si è detto di tutto e di più: che gli investimenti sono diminuiti, le perdite aumentate, che il referendum è stato nefasto. Tutte “fake”, false, come ha dimostrato Linkiesta – nomen omen – tra i pochi giornali on line di buona reputazione. Certo, con poco oltre 50 euro di investimenti pro capite siamo ancora lontani dagli 80 euro a testa che occorrerebbero per adeguarci alla media europea. E, tuttavia, sono quasi il doppio rispetto ai 25 del 2012. E lo stesso vale per le altre affermazioni. È vero, con le precipitazioni che si fanno più rare e violente e la riduzione preoccupante dei ghiacciai il problema della captazione e, dunque, degli invasi resta: ma in questo caso la soluzione si scontra con la sensibilità spesso uguale e contraria degli ecologisti, non altro.
L’Europa brucia, si diceva, e le fiamme lambiscono il Belpaese e i cugini d’Oltralpe. E non soltanto perché i roghi, dopo il Vesuvio, l’Appennino meridionale e i Nebrodi, avviluppano ora il verde della Provenza e della Costa azzurra. Nel Vecchio Continente ad appiccare il fuoco della polemica è stato proprio il neo presidente francese – pure frettolosamente salutato come il campione del rinnovato risveglio ideale comunitario – il quale, sospinto da un rigurgito nazionale di “grandeur” mai del tutto abbandonato, ha assunto iniziative politiche talmente gravi e dannose per l’Italia che, in altra epoca, sarebbe stato probabilmente motivo non soltanto di crisi diplomatica.
I fatti sono. Dopo il pasticcio del 2011, con l’inopinata e rovinosa guerra a Gheddafi, già supinamente accettato dall’Italia che pure aveva (e ancor ha) motivi di grandi interessi politici ed economici in Libia – Macron ci ha riprovato, ponendosi come unico mediatore tra le locali e contrapposte fazioni armate. La Libia è paese di frontiera del Belpaese, sulla sponda sud del Mediterraneo, da cui partono i disperati africani che giornalmente ci invadono, non certo della Francia. Peraltro, pure avendo contingenti bellici in Africa centrale, Parigi nulla fa per ostacolare questi flussi, ma chiude prontamente la frontiera di Ventimiglia, creandoci altri problemi. Da ultimo, poi, ha stracciato il contratto di controllo e gestione di Stx, azienda decotta di Saint-Nazaire, stipulato da Fincantieri con gli ex proprietari sud coreani, avallato dal precedente presidente francese, François Hollande.
E qui vi risparmio tutte le considerazioni sulla reciprocità (molti gioielli dell’industria e della finanza italiana sono nelle mani di società francesi, le quali intanto continuano a fare shopping indisturbate) i limiti agli aiuti di Stato imposti dall’Ue (solo a noi), l’orgoglio nazionale offeso e via dicendo. Il fatto, nudo e crudo, alla fine è sempre di credibilità della classe politica italiana. Reputazione che ovviamente trae origine da un sistema di regole istituzionali che da noi, al contrario di altri Paesi, giusto per restare in tema, fa acqua da tutte le parti. Classe politica che intanto ancora si perde nella discussione di una legge elettorale che, in ogni caso – statene certi – difficilmente affiderà al leader del partito di maggioranza anche il compito di governare il Paese – poco importa se egli si chiami Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini o Luigi Di Maio – e soprattutto per un’intera legislatura.
Certo, stando così le cose, si fatica a credere che intanto il Paese cresce. “L’Italia vada avanti sulle riforme, approfitti della ripresa”, raccomanda il Fmi . Fatturato e ordini dell’Industria (+7,6%) sono registrati al top da dicembre. E che sono stati toccati e aboliti i vitalizi – o, meglio, “i diritti quesiti” – dei vecchi parlamentari (ma la legge deve ancora andare al Senato). Tanto più se, a fare da contraltare alle proteste indignate dei vari Paolo Cirino Pomicino, Vittorio Sgarbi, Mario Capanna, Angelo Sanza eccetera, i quali lamentano di non riuscire a vivere – nella peggiore delle ipotesi – con 6 mila euro al mese, intanto aumentano le nuove pensioni d’oro. Gli assegni superiori ai 3 mila euro al mese, infatti, nel 2016 sono stati 15.920, 10.068 in più rispetto all’anno precedente. E che gli italiani – la fonte è sempre il Fondo monetario internazionale – intanto guadagnano in media meno di 20 anni fa, con i salari e la ricchezza della popolazione in età lavorativa scesi sotto i livelli del 1995, prima dell’ingresso nell’euro. E che i redditi pro-capite torneranno a livelli ai livelli pre-crisi solo fra un decennio. E che la quota degli italiani a rischio povertà è aumentata al 29%, con un picco del 44% al Sud. E che “l’emigrazione dall’Italia resta elevata”.
A pensarci bene, Macron è forse l’ultimo dei problemi. O no?