I capitali cinesi in Africa sono aumentati drasticamente, rendendo la Repubblica Popolare il maggiore apportatore di investimenti diretti all’estero (Foreign Direct Investment, fdi) e posti di lavoro nel Continente. Però fra il 2017 e i giorni nostri si sono avute crescenti tensioni nella guerra commerciale, con l’intensificazione del conflitto economico tra gli Stati Uniti del presidente Donald Trump e la RP della Cina. Attrito che probabilmente indebolirà le prospettive di crescita globale e si tradurrà in un commercio molto più lento tra l’Africa ei suoi principali mercati. Inoltre, recenti indicatori suggeriscono che gli stessi Stati Uniti affrontano un rischio crescente di entrare in recessione, a parere di numerosi esperti intervistati.
Nonostante ciò, da una studio della Ernst & Young, aggiornato al settembre 2019, si constata come la RP della Cina continui ad essere il maggior investitore con 72,235 miliardi di dollari (pari al 33,8% dei primi dieci investitori esteri) e 137.028 posti di lavoro creati (30,6% fra tutte le nuove occupazioni create dai predetti Paesi).
La Cina è diventato il primo maggiore investitore nel Continente. In effetti, questo è il più alto livello di fdi dalla Cina calcolato attraverso i tre parametri canonici: progetti, investimenti di capitale e posti di lavoro. Si afferma inoltre che i fdi cinesi in Africa sono ben diversificati in vari settori, compresi quelli orientati alle risorse, nonché i servizi e la produzione.
Il rapporto EY indica che i posti di lavoro creati da progetti fdi cinesi hanno raggiunto il massimo storico: più del doppio di posti di lavoro creati dall’altro maggiore investitore, ossia gli Stati Uniti d’America.
Oltre al commercio e ai fdi, le società cinesi e le organizzazioni governative hanno finanziato e costruito numerosi progetti infrastrutturali in tutto il Continente, compresi porti, strade, ferrovie, dighe, reti di telecomunicazioni, centrali elettriche e aeroporti.
Si pone in evidenza che l’ambiziosa iniziativa Yídài Yílù («una cintura una via», One Belt One Road-obor), proposta dalla Cina di ricostruire l’antica Via commerciale della Seta potrebbe rivelarsi una situazione win-win sia per la Cina che per l’Africa, posizionando quest’ultima quale strada adatta all’eccesso di risparmio e alle capacità infrastrutturali del Paese asiatico.
La Cina sta diventando sempre più una forza da non sottovalutare, e ad essa si unisce il Sudafrica e l’India (per quanto riguarda il gruppo BRICS). Gli investitori dei mercati emergenti stanno diventando più importanti, rappresentano il 25,7% dei progetti totali, il 42,2% dei posti di lavoro creati, e il 41,1 degli investimenti di capitale. Gli investitori maturi (USA ed Europa), d’altro canto, dominano in termini di numero di progetti, ma generalmente impegnano meno capitale e creano meno posti di lavoro rispetto ai predetti.
Altro dato fondamentale è l’analisi dell’agenzia svizzera Ecofin – aggiornata al 28 gennaio 2020 (poco prima dell’emergenza Covid-19) –: essa afferma che i commercio tra la Cina ei suoi partner africani ha raggiunto il livello record di 208,7 miliardi di dollari nel 2019: 113,2 miliardi di esportazioni, e 95,5 di importazioni. Dopo un’impennata di esportazioni nel febbraio 2020, pari a quasi 14 miliardi di dollari, il Covid-19 ha abbassato l’ammontare a 8 nel marzo, ma si registra comunque una lenta risalita sino ad oggi verso i 10 miliardi per il mese di ottobre.
La Cina esporta in Africa un’ampia varietà di beni di consumo e di capitali, ma principalmente importa materie prime come petrolio, minerali e altre risorse naturali. In complesso in Africa, gli investitori cinesi hanno assunto un ruolo attivo nei settori di elettricità, trasporti, infrastrutture, telecomunicazioni, nei media e nella tecnologia; pure nel campo automobilistico e in quello dei servizi alle imprese. Paesi che beneficiano in gran parte dei progetti cinesi sono: Angola, Rep. Dem. del Congo, Egitto, Etiopia, Ghana, Nigeria, Rep. Sudafricana, Uganda, Zambia, Zimbabwe.
Nonostante ci siano molte speculazioni sui flussi finanziari dalla Cina all’Africa, essi sono stati impiegati in gran parte sotto forma di assistenza allo sviluppo attraverso prestiti e aiuti. I fdi cinesi verso l’Africa sono ben diversificati in ogni settore, compresi quelli orientati alle risorse minerarie e metallifere, ai servizi e al manifatturiero. Società e banche cinesi hanno siglato patti di cooperazione preliminare con le loro controparti africane anche in settori quali energia e prodotti farmaceutici.
Si riscontra purela diversificazione dell’investimento cinese in più Paesi, coprendo sia gli Stati ricchi di risorse, quali Angola, Nigeria, Rep. Sudafricana e Uganda, sia gli esportatori agricoli come il Kenya.
La crescita media annua nel corso del periodo 2000-2015 è stata superiore al 20%, quella del 2016-2020 è allo studio. Attualmente oltre tremila imprese cinesi stanno investendo e chiudono contratti in Africa.
La Cina ha assistito e finanziato la costruzione di oltre 200 scuole e fornisce oltre settemila borse di studio governative per il continente ogni anno. Pechino ha versato 117 milioni di dollari in aiuti umanitari e ha inviato centinaia di operatori sanitari in prima linea nell’Africa occidentale colpita dal virus Ebola, quando nei Paesi occidentali solo il volontariato – quale Emergency di Gino Strada e altre organizzazioni – si prodiga per alleviare le sofferenze del Continente nel totale disinteresse dei governi “democratici” i quali pensano solo a fare affari; se non addirittura a contestare le iniziative del predetto medico.
La lunghezza totale delle ferrovie che la Cina ha costruito e sta costruendo in Africa ha raggiunto i 6.000 km. e la cifra per le autostrade supera i 5.000 km.. La prima moderna linea tranviaria dell’Africa subsahariana, è stata inaugurata ad Addis Abeba il 20 settembre 2015, e ha segnato il completamento di un massiccio progetto di infrastrutture finanziate dalla Cina: è stata accolta come un passo importante nello sviluppo economico dell’Etiopia.
Già l’autorevole rivista statunitense «Forbes», attraverso l’articolo China Is Giving More Foreign Aid Than It Gets (22 dicembre 2017), afferma che è facile essere scettici sull’aiuto internazionale della Cina come una mossa per controllare i Paesi più piccoli. Però l’iniziativa obor (supra), finalizzata alla costruzione di infrastrutture pubbliche in tutta l’Asia, allarga efficacemente le rotte commerciali dalla Cina verso l’Europa attraverso l’Africa. L’aiuto allo sviluppo della Cina al Continente nero finanziato oltre 2.000 progetti di assistenza ufficiale in 51 paesi africani, secondo The Brookings Institution di Washington.
Tuttavia, la Cina dà più di quanto riceva in aiuto e sta salendo in classifica verso i livelli di donatori storicamente maggiori quali gli Stati Uniti d’America e l’Europa occidentale. Nel 2014 la Cina ha riscontrato un utile negativo di 947 milioni di dollari e l’anno successivo un negativo di 332 milioni, lo afferma l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: tali cifre dicono che ha dato più di quanto abbia ricevuto. La Banca mondiale e la Banca asiatica per lo sviluppo (finanziata in larga parte dal Giappone) – due importanti donatori nella regione cinese – intravvedono difficoltà per continuare a sostenere Pechino come hanno fatto altri donatori stranieri almeno dagli anni Quaranta, a causa degli aiuti cinesi all’estero.
Un database presso il College of William & Mary (Williamsburg, Virginia) pone il totale di aiuti esteri della Cina a circa 38 miliardi di dollari per il 2014, l’anno più recente elaborato. Sette dei primi dieci beneficiari di aiuti agevolati sono in Africa; altri: Cuba, Cambogia e Srī Lanka. Dal 2000 al 2014, la Cina ha offerto circa 350 miliardi di dollari.
Un aiuto che si spinge verso l’investimento implica che la Cina ottenga qualcosa in cambio. Lo studio del cwm ha rilevato che solo il 18% dell’aiuto della Cina per il 2014 all’estero era «un aiuto allo sviluppo ufficiale», e il resto non altro che finanziamenti agevolati. Se la Cina ottiene qualcosa in cambio, probabilmente non ha importanza, finché i progetti vadano a vantaggio di entrambe le parti.
La stragrande parte dei 140 paesi aiutati dal 2000 ad oggi non si è affatto lamentata. Le imprese cinesi hanno bisogno di mercati esteri per crescere, mentre le imprese locali africane possono diventare più competitive velocemente con investimenti stranieri e reciproca soddisfazione.
Ha dichiarato Scott Kennedy, dirigente nel Project on Chinese Business & Political Economy del gruppo di esperti Center for Strategic and International Studies di Washington: «Nei suoi aiuti all’estero, la Cina fornisce fondi e contributi in natura per alleviare la povertà, ma è anche un sostenitore del concetto di “finanziamento dello sviluppo”, in cui una parte sostanziale degli aiuti esteri è inquadrata come investimento, dove è del tutto ragionevole che i cinesi cerchino di ottenere un profitto e perseguano i propri interessi nell’accordo».