La Chiesa dei SS.Severino e Sossio, custode di Storia e dell’eterno amore di una mamma

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Ancora a Napoli, ancora nel meraviglioso centro storico, scrigno di gemme preziose e uniche al mondo, visitiamo un vero e proprio tesoro, custode di opere d’arte e di storie dolorose e umanissime, accessibile grazie al lavoro e alla dedizione dei volontari del Touring Club Italiano: la chiesa dei SS. Severino e Sossio.

La storia
La costruzione della chiesa inizia nel 1494, sotto il regno dei Alfonso II d’Aragona, nell’ultimo periodo degli Aragonesi a Napoli. Il complesso dei SS. Severino e Sossio è in realtà di origini antichissime e sorge su un complesso monastico dei benedettini. Oggi le strutture del monastero ospitano l’Archivio Storico di Napoli.
Con la caduta degli Aragonesi i lavori subiscono una battuta d’arresto per poi riprendere con la dominazione francese. In seguito, grazie alla donazione del nobile napoletano Troiano Mormile i lavori ebbero nuova vita, per poi arrestarsi a seguito di contestazioni sull’eredità del filantropo. E così di seguito, negli anni a venire, la costruzione della chiesa subì slanci e battute d’arresto, mentre nel frattempo il monastero acquisiva importanza, diventando, alla fine del XVI sec. uno dei più ricchi di Napoli, grazie al prestigio esercitato dall’ordine benedettino.
La chiesa seguì, nel tempo, le vicende storiche della città: non fu risparmiata dai devastanti terremoti succedutisi negli anni che imposero copiosi e dispendiosi lavori di ristrutturazione, fu saccheggiata dai Sanfedisti durante al tempo della Repubblica Napoletana, fino a quando l’ordine monastico fu soppresso su decreto di Giuseppe Bonaparte, cui seguirono l’abbandono del monastero e una nuova fase di profanazioni e saccheggi.

Gli interni
Oltrepassato il portale settecentesco, sul cui timpano campeggia lo stemma marmoreo con le due S, il pastorale e la palma del martirio a simboleggiare i due santi cui la chiesa è dedicata, si schiude dinanzi ai nostri occhi la chiesa in tutto il suo magnificente splendore. Un’unica navata, due file di sette cappelle ai lati, i marmi policromi delle pareti e del pavimento, provenienti dalle cave liguri, riflettono la luce che filtra dalle grandi finestre della controfacciata, abbagliano la vista e catturano immediatamente il visitatore. In corrispondenza del secondo pilastro sulla destra la tomba di Belisario Corenzio, che la tradizione vuole sia morto proprio in questa chiesa nel 1646 cadendo da un’impalcatura mentre ritoccava gli affreschi della volta. Volgiamo dunque lo sguardo alla volta a botte e ai suoi magnifici affreschi raffiguranti scene della vita di San Benedetto, opera di Francesco De Mura dopo che il tempo e i terremoti ebbero distrutto l’opera di Belisario Corenzio. Le cappelle sfilano alla nostra destra disvelando ciascuna la sua storia, il suo mistero, la Fede, L’Arte. Nella II Cappella risalta per la potenza del messaggio, l’opera di Marco Pino da Siena, un’Assunzione della Vergine, datata 1571, in cui l’artista divide nettamente il mondo terreno , il sepolcro aperto, il dolore della morte e il mondo celeste, la Vergine assunta in Cielo con le figure umane che sembrano intrecciarsi e tendere verso l’Alto, ad accompagnare la Vergine nell’ascesa. Ancora, qualche metro più avanti, la VI Cappella, con l’altro capolavoro di Marco Pino da Siena, l’Adorazione dei Magi.

La Cappella Medici e la Sacrestia
La scoperta continua e così, quasi in fondo alla navata, attraversiamo l’Antivestibolo ed accediamo alla Cappella Medici, vestibolo della Sacrestia. Sull’altare, bellissima, raffinata ed emozionante, la Madonna con Bambino con i Santi Benedetto, Mauro e Placido di Fabrizio Santafede. Alle pareti notevoli i monumenti funebri, tra cui colpisce particolarmente quello di Andrea Bonifacio, morto a soli 6 anni, opera dello spagnolo Bartolomeno Ordonez. L’opera è carica di significato, in grado di emozionare profondamente il visitatore: nel sarcofago giace il giovanetto, due Putti sollevano il sarcofago ad impedirgli di chiudere il sipario su questa giovane vita, un terzo putto sostiene il bambino, a consolarlo, ad accompagnarlo dolcemente. I versi di Jacopo Sannazzaro, nell’epigrafe, narrano della gioia della famiglia che ha atteso e accolto il bambino e dello strazio di quegli stessi genitori che ora lo vedono così prematuramente strappato alla vita. Come in un gioco di scatole cinesi, dal vestibolo si accede alla sacrestia. L’ambiente è ampio e luminoso, il pavimento è composto da cubi in prospettiva che danno l’idea di gradini, ottenuto con l’utilizzo di marmi diversi, sulla volta gli affreschi sono di Onofrio de Lione e, in fondo alla sacrestia, la Trinità, opera del suo maestro Belisario Corenzio. Tutt’intorno i pannelli lignei finemente intagliati. Oltre la sacrestia, altri ambienti, tra cui la cappella del Tesoro, un piccolo vano destinato a custodire gli argenti della chiesa.
Lasciata la Cappella Medici, ritorniamo nella chiesa e accediamo al transetto, le bellezze di questa chiesa paiono non finire mai, nel transetto sinistro la Cappella Gesualdo con la Pietà e il monumento funebre di Vincenzo Carafa, anch’esse splendide rappresentazioni di drammi ed avvenimenti storici, come la battaglia di Lepanto, che vide contrapposte le flotte cristiana e mussulmana.

La Cappella Sanseverino
E’ però nel transetto destro che ammiriamo uno dei luoghi più carichi di suggestione dell’intero complesso: la Cappella Sanseverino. Molto più di monumenti funebri, di opere d’arte, pur di rara e profonda bellezza. Le opere raccontano con vivida partecipazione, una tragedia familiare. Le tre sepolture appartengono ai tre fratelli Jacopo, Sigismondo e Ascanio Sanseverino. I ragazzi sono rappresentati seduti, l’atteggiamento disteso e sereno, a volerli ricordare da vivi, allontanando da essi l’idea della morte. I tre, pare per questioni legate all’eredità, furono avvelenati da Girolamo, uno zio paterno che li aveva cresciuti come figli. Li invitò ad una battuta di caccia e offrì loro delle coppe avvelenate. I fanciulli morirono dopo quattro giorni di atroce agonia che nessun medico, nessuna cura fu in grado di lenire. Il padre Ugo, morì, devastato dal dolore,poco dopo, mentre la madre Ippolita dei Monti, duchessa di Saponara, che in quei giorni di agonia aveva sorretto, consolato, accudito i figli, custode dell’atroce verità, ovvero che il colpevole di cotanto dolore fosse proprio lo zio paterno, non ebbe pace. Il delitto rimase impunito, il colpevole fu assolto dalla giustizia per insufficienza di prove ed ella impiegò tutto il resto della sua vita per far erigere i tre monumenti ed onorare la memoria dei figli. Quando anche lei morì, chiese l’onore di essere seppellita accanto a loro e così, dietro l’altare, la si trova distesa, come ancora contratta nel suo dolore, in uno strazio perpetuo immortalato dalla scultura. L’insieme è carico di suggestione, conserva intatta la carica umana, tragica, struggente del più profondo e indicibile dei dolori.
La Chiesa dei SS. Severino e Sossio è un patrimonio preziosissimo di bellezza, di un’Arte in grado di commuovere, parlare alla profondità dell’animo del visitatore. Un viaggio affascinante nei secoli, una scoperta continua. Grazie ai volontari del Touring Club Italiano è possibile visitarla approfittando anche delle visite notturne teatralizzate che fanno rivivere le storie e i drammi che qui sono narrati.

 

 

La Chiesa dei SS.Severino e Sossio, custode di Storia e dell’eterno amore di una mamma