La Babele della Sanità

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Il dibattito costante sulla riforma della Sanità, ormai in itinere da circa un decennio e senza apprezzabili frutti. Credo che il sistema sanitario nazionale sia ammalato, oltre che per i tagli Il dibattito costante sulla riforma della Sanità, ormai in itinere da circa un decennio e senza apprezzabili frutti. Credo che il sistema sanitario nazionale sia ammalato, oltre che per i tagli dovuti alla revisioni della spesa, anche da politiche nazionali improntate e contraddistinte da target non trasparenti e, fondamentalmente, poco chiari. Mi domando come possa un sistema, basato sul “principio dell’universalismo delle cure”, diventare un odioso ingranaggio in cui si ingabbino i dipendenti ospedalieri ed i medici territoriali, in un’altalena di stop and go, senza finalità alcuna e privi di obiettivi di qualità. Il dipendente ospedaliero è ormai considerato, dalla Pubblica Amministrazione, un cittadino di serie B per una serie di motivazioni e considerazioni legate per lo più a vari provvedimenti normativi che negli anni si sono succeduti e tra i quali vanno ricordati: il demansionamento discrezionale, la revoca degli incarichi in un qualsiasi momento, il pensionamento di vecchiaia per le donne a 65 anni, le penalizzazioni economiche in caso di malattia, il precariato continuo senza possibilità di ammortizzatori in caso di licenziamento, il blocco del turn-over, la proroga della soppressione di contratti per il 5°anno consecutivo e tanti altri problemi ancora. Nell’ultimo Atto di indirizzo per la Medicina Convenzionata, proprio di questi giorni, viene stabilita la necessità di rimodulare e riorganizzare la medicina generale e territoriale e, tale processo di revisione e aggiornamento degli ACN vigenti, deve avvenire senza alcun onere aggiuntivo a carico della finanza pubblica, anzi “in invarianza delle risorse economiche attualmente investite sui medici convenzionati, va previsto il riutilizzo delle indennità e degli incentivi ora erogati per lo sviluppo strutturale ed organizzativo (associazionismo, indennità informatica, incentivi per il personale o altro) allo scopo di finanziare le AFT e UCCP, secondo modalità definite dalle Regioni. Ovvero si decurta sensibilmente lo stipendio dei medici e la quota così risparmiata la si utilizza per finanziare le modifiche strutturali del servizio. Insomma si stabiliscono per norma la nascita di una sorta di “ contratti di solidarietà in favore dello Stato”, nei confronti dei medici libero-professionisti in regime di convenzione. Il D. Lgs.81/2008 chiedeva di porre massima attenzione alla valutazione dei rischi psico-sociali e ai fenomeni che possono facilitare il malessere psico-fisico degli operatori. Insomma, legittimava lo “stare bene” al lavoro come volano ai benefici sia per la persona, che non incorreva nelle conseguenze psico-fisiche del malessere lavorativo e sia per l’azienda in quanto, rafforzando il benessere organizzativo, si migliorava l’ efficienza e la qualità dei servizi e si garantiva, al tempo stesso, la tutela della salute dei lavoratori. Nel susseguirsi, invece, delle molteplici politiche sanitarie degli ultimi anni, si è ormai riusciti a concepire un sistema in grado di reggersi fondamentalmente sulla buona volontà e sull’abnegazione di una classe media di dirigenti e professionisti sanitari in regime di convenzione, di 50 anni e più che, nonostante tutto, hanno portato negli anni all’innalzamento della speranza di vita media, medici che però hanno in seguito smarrito la propria identità grazie ad un opera di continua delegittimazione da parte di uno Stato non in grado di tutelarli più, imponendo un lavoro non sicuro, perché basato su un aggravio dei carichi lavorativi legati alla carenza cronica di personale ed all’assenza di univoche e legittime linee guida. Per non parlare, poi, delle continue campagne di stampa denigratorie dell’azione medica, in cui si cercano colpevoli ad ogni costo, dove la notizia buona passa in secondo ordine e la cattiva sempre in primo piano, stendendo un velo pietoso sulla meschinità degli spot pubblicitari televisivi dove si invitano i cittadini a denunciare, anche a distanza di 10 anni, i propri medici nel caso si ritengano, a torto o a ragione, vittime di presunti errori clinici. Anche in questo caso lo Stato invece di tutelare il proprio patrimonio in risorse umane e professionali sanitarie permette lo sconcio di tali passaggi, senza rendersi conto che tale immotivata conflittualità genera solo diffidenza, sia nel cittadino utente che nel medico stesso, danneggiando alla fine il solo Stato e la sua articolazione dell’assistenza. A questo si è poi aggiunto la confusione nei ruoli delle professionalità sanitarie arrecato dai tentativi una politica “miope e matrigna”, che interagisce in una babele di competenze vecchie e nuove, di cui non si intravede una definizione almeno in un prossimo futuro. A peggiorare il quadro l’impossibilità di passare il patrimonio di esperienza e di conoscenze alle leve future, perennemente precarie ed in attesa di una possibile occasione lavorativa. Ci hanno sempre insegnato che bisogna essere capaci di cercare e prospettare soluzioni, non solo individuarle e credo che la migliore, attualmente, rimanga ancora quella di continuare a farci guidare dalla passione per il lavoro, ma anche di riscoprire insieme ai cittadini, la giusta compattezza per dire che non possiamo più subire passivamente una progressiva deriva dell’assistenza sociale e sanitaria dai risultati negativi per tutti. Ma tutto ciò sempre che si consideri ancora salvaguardato il concetto di diritto alle cure, perché se l’obiettivo perseguito è invece una continua decrescita del livello di assistenza, favorendo il totale transito al privato puro e/o convenzionato, allora si comprende come tutto ciò possa accadere. L’essenziale è che però ci sia qualcuno dei responsabili della politica sanitaria di questo paese, un presidente del consiglio, un ministro della salute o, più semplicemente, qualche governatore di una delle 21 regioni, che ci dica la verità, del tipo: “ abbiamo provato ad essere una società capace di tutelare il diritto alla salute, ma non ci siamo riusciti e, pertanto, carissimi cittadini e cari operatori sanitari, sta per nascere una nuova stagione sanitaria e sociale con tutele complessivamente ridotte per tutti”. Domenico Crea assessore Salute e Politiche Sociali III Municipalità del Comune di Napoli