L’Italia? Il tech hub del futuro. Ma serve un nuovo umanesimo

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Per incidere sul presente servono grandi prospettive, come quella di fare dell’Italia il tech hub dei prossimi anni. Che si tratti di un orizzonte alla nostra portata non lo suggerisce la speranza ma i numeri, come dimostrano i dati della società statunitense CB Insights che registra un aumento del 208% delle operazioni di finanziamento per le startup italiane tra il 2013 e il 2015. Il grimaldello della crescita sono e devono essere proprio loro, le aziende innovative, a cominciare dal Sud.

Eppure la strada da percorrere è ancora lunga. Un esempio? Meno del 20 per cento delle aziende italiane ha una piattaforma di e-commerce sul web (dati Eurispes), mentre nei Paesi anglosassoni questo dato supera il 50%. Ciò significa che prima ancora delle infrastrutture quel che manca all’Italia è una cultura digitale, una mentalità che invece deve mettere radici nelle nuove generazioni affinché possa fiorire un nuovo Rinascimento.

Un tentativo in questa direzione è stato quello della cosiddetta riforma della “Buona scuola” perché i famosi 500 euro per i docenti sarebbero dovuti essere investiti per una formazione di qualità del copro insegnante, un plus che poi si sarebbe potuto trasformare in un patrimonio per gli stessi studenti. E invece così non è stato, perché la stragrande maggioranza dei docenti con quei soldi ha comprato tablet e smartphone. Insomma, un’altra occasione persa.

Ma torniamo alle startup. Lo sforzo che si ta compiendo e da compiere è palese. Tutte le università stanno potenziando i propri laboratori e incubatori per far nascere dagli studenti e dai docenti nuove idee creative, da tradurre velocemente in aziende di successo. Il che implica anche una tra trasformazione pedagogica. La formazione degli startupper non sarà più incentrata, infatti, nel prossimo futuro sull’economia, sul diritto, sull’ingegneria, ma mirerà sempre più a tirar fuori la creatività attraverso una cultura che potremmo definire di Umanesimo 2.0 propria del nostro Belpaese. È questo l’ambizioso orizzonte che può scuotere il presente. Un orizzonte che per la classe dirigente si configura come un’autentica promessa generazionale.