L’Europa cresce ma non troppo

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La crescita c’è, ma è decisamente debole per far dire di essere del tutto fuori, ormai, da questa lunghissima crisi. Davanti al Parlamento europeo, giovedì scorso, Mario Draghi invita all’ottimismo ma anche a non perdere di vista la realtà dei fatti. E cioè che “la ripresa nell’Eurozona prosegue moderatamente”, mentre “i rischi al ribasso da crescita e commercio globali sono chiaramente visibili”. Per il presidente della Bce “finora l’attività economica nella zona euro ha dimostrato un certo grado di resilienza verso le influenze esterne che tendono a indebolire la domanda. Mentre la domanda esterna è receduta, gli export dell’Eurozona sono aumentati. Il costo più basso dell’energia e la nostra politica monetaria stanno sostenendo i consumi e la creazione di nuovo capitale”. E, tuttavia, restano rischi al ribasso e “la pressione dei prezzi resta sommessa”. Insomma, dice il numero uno della Bce, “i segnali ci indicano che la ripresa migliora, continua, è lenta ma più forte e più diffusa che in passato, e avviene anche nei Paesi sotto stress e ‘non core’, guidata da consumi e investimenti, un segnale positivo”. L’analisi di Draghi in parte è condivisa Oltreoceano. Ma fino a un certo punto. Il presidente degli States, Barack Obama, in un’intervista al Financial Times rilasciata in vista del G20, conferma infatti che “l’economia globale sta crescendo, ma cresce troppo lentamente”. E chiosa: “L’America non può essere l’unico motore della crescita globale. Se il mondo si appoggia troppo sui consumi americani, si metterà a rischio la sostenibilità della ripresa. Il mio messaggio al G20 sarà chiaro: abbiamo bisogno di agire per rafforzare la crescita in modo che ne possano beneficiare tutti”. Come dire, non è sufficiente andare a rimorchio. Bisogna anche spingere. Un richiamo che non è rivolto soltanto alla Cina e – perché no? – alla Russia, ma anche e soprattutto all’Europa dove evidentemente si può e si deve fare di più. E dove i principali Paesi – Germania, Francia e Italia, per intenderci – compresi peraltro non solo nel club del G20 ma anche del ristretto club del G8, presentano proprio sul versante della crescita una situazione variegata. Nel senso, cioè, che tutti ormai mostrano precisi segnali di crescita, dopo che a tirare è stata quasi soltanto il paese della Merkel, ma con andature diverse per le rispettive economie, come evidenzia il periodico rapporto dell’Ocse. Sicché, con riferimento alle cose di casa nostra, per dire, dopo gli squilli di tromba dei giorni scorsi, si apprende che il Belpaese nel terzo trimestre fa registrare un +0,2%, dunque al di sotto delle attese degli analisti, mentre Francia e Germania si attestano su un +0,3%. Con una differenza, però: per quanto riguarda il prodotto interno lordo francese la crescita rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è dell’1,2%, mentre per la Germania, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, la crescita è dell’1,7%. Per l’Italia, come si sa, il confronto è con la recessione. Attenzione, però: questo non significa che il quadro complessivo del sistema economico italiano si sia nuovamente deteriorato in pochi giorni. Il fatto è che, a fianco dei dati sicuramente incoraggianti che sono stati sottolineati con particolare enfasi nei giorni scorsi, permangono in ogni caso preoccupanti zone d’ombra. Le quali, è convinzione diffusa, se appena fossero rischiarate da un po’ di luce in più, potrebbero davvero capovolgere in meglio la situazione e, in generale, il giudizio del Belpaese. Si prenda, ad esempio, il caso della spending review. In settimana ad abbandonare il comando della stanza di manovra per ridurre la spesa pubblica è stato Roberto Perotti. In otto anni è il quarto commissario che getta la spugna. Prima di lui lo hanno fatto Carlo Cottarelli, Enrico Biondi e Piero Giarda: quest’ultimo individuò la bella somma di cento miliardi di “spesa da aggredire nel breve periodo”. Ma siamo rimasti alle belle intenzioni, come si sa. Intanto, l’Italia resta il paese ad economia avanzata più tartassato del mondo; che cresce di meno (quando cresce); e decide di accatastare gli immobili con il calcolo dei metri quadrati e non più dei vani. La qualcosa, beninteso, potrebbe apparire anche giusta se non nascondesse il pericolo di introdurre nuove tasse. Le stesse, magari, che a parole si intendono abolire.