L’economia dei sogni

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Da qualche anno a questa parte, almeno una volta, sui giornali, alla tv o per sentito dire tutti quanti si sono imbattuti nella parola “start-up”. Talvolta questo termine inglese viene anche usato a sproposito, o per lo meno senza avere la piena coscienza di ciò che veramente significhi “ Start-up”. 

Fior fiore di economisti, esperti, imprenditori di ogni colore e risma si sono espressi in merito, non senza essere talvolta imprecisi e volendo forzatamente porre dei canoni a qualcosa che di per se non dovrebbe avere né limiti né tantomeno seguire i rigidi dettami imposti dall’ “economia tradizionale”. Non si può infatti certo pensare che una Start-up sia considerabile alla stregua di una semplice azienda, perché così facendo si compirebbe il grave errore di molti esperti. Ognuno di noi deve avere la possibilità di esprimere la sua opinione in merito ad un fenomeno in sempre più larga espansione a livello mondiale.

E’ però opportuno precisare, per chi non conoscesse approfonditamente il mondo delle “start-up”, che le più profonde e radicali differenze fra un’iniziativa innovativa di questo tipo e un’azienda tradizionale sono fondamentalmente due: la creatività e la realizzazione di un sogno.La creatività nel mondo dell’innovazione è fondamentale, è ciò che sostiene questa meravigliosa realtà quasi come una spina dorsale, una linfa vitale che accomuna tutti gli start upper, che non esiterei a chiamare più sognatori che imprenditori. Eh sì, perché soprattutto in Italia, quando si pensa ad un imprenditore si presuppongono determinate caratteristiche e prerogative, canonizzate e standardizzate, che di fatto lo inquadrano in una realtà già scandagliata e consolidata, che presumibilmente vede al centro del suo bagaglio formativo l’ambito economico tradizionale. Ma ciò che cambia è proprio in questo. Uno start upper non ha bisogno, per forza di una formazione, di una preparazione specifica in ambito economico. Ed è proprio per questo che il mondo delle start-up è  e deve essere incrementato, poiché tutti i quanti potenzialmente potrebbero essere start upper, basta avere voglia di mettersi in gioco e basta saper essere “ignoranti creativi”.

Nei concorsi internazionali per start upper infatti, concorrono diversi team che presentano un determinato tipo di progetto sottoforma di power-point generalmente, ed è proprio da li, da una semplice sequenza ordinata di slides che prendono forma le nuove frontiere dell’innovazione. E’ inutile dire che il fenomeno start-up sia in netto sviluppo, e dal momento della sua nascita, si siano fatti passi avanti di dimensioni davvero notevoli. Il maggior centro di sviluppo, seguito da Silicon Valley e Irlanda è Israele. Un dato però è fondamentale riportare: i progetti degli italiani sono sempre i meglio riusciti e i più efficaci, sebbene la maggior parte di essi debba spostarsi per avere la possibilità di portarli a compimento. E questo perchè? Per il solito motivo legato ad una visione miope e ancorata al passato dell’economia e dell’imprenditoria, sebbene ultimamente si avvertano anche in Italia le prime avvisaglie positive, che lascerebbero ben sperare per il futuro, ma la strada purtroppo è ancora lunga. Gli Italiani riescono ad avere progetti e idee migliori di altri perché sono figli di una cultura molto più profonda e antica, che permette in maniera più efficace di mettere a frutto l’immaginazione. Paradossalmente nel mondo delle start-up potrebbe dimostrarsi più utile aver letto la Divina Commedia che un libro di Fisher proprio perché attraverso la letteratura, l’arte e la cultura che lasci spazio all’immaginazione, si riesce meglio a fare la cosa che ad uno start upper non deve mai mancare: sognare.